Home / Ingegneria cellulare e tissutale / Organo replicato e stampato in 3D…il tutto in un chip!

Sensori stampati 3D Photo: Johan U. Lind/Harvard University

Lo studio, pubblicato nella rivista Nature Materials, è stato svolto dai ricercatori della Wyss Institute for Biologically Inspired Engineering alla Harvard University insieme alla Harvard John A. Paulson School of Engineering and Applied Sciences (SEAS), utilizzando una stampate 3D per costruire letteralmente una replica del cuore in un chip, servendosi di sei particolari bio inchiostri.

L’innovazione, finanziata dalla DARPA ( la Defense Advanced Research Projects Agency, sezione della ricerca militare americana) con 37 milioni di dollari, porterà una svolta notevole per quanto riguarda i test dei nuovi medicinali sugli organi; l’intero sistema, infatti, è programmato per poter ricreare tutti i tipi di organi nei vari chips, per poi consentire la loro produzione automatizzata.

“Questo nuovo approccio programmabile di realizzare gli organi nei chips permetterà sia di cambiare e personalizzare il sistema in base alle esigenze, sia semplificare in maniera drastica l’acquisizione dei dati”

spiega Johan Ulrik Lind, Ph.D e primo autore dell’articolo.

“Questa nostro approccio e questa microcreazione aprirà le porte ad una nuova visione dell’ingegneria tessutale in vitro, nella tossicologia e negli screening dei vari farmaci”

asserisce Kit Parker, Ph.D. bioingegneria alla Wyss.

“Sarà inoltre possibile la produzione di massa di questi chips”.

I micro organi, che simulano e imitano in tutto e per tutto sia la struttura che la funzionalità dei tessuti nativi da cui son stati “copiati”, hanno un risvolto etico: promettono, infatti, una interessante alternativa alla tradizionale sperimentazione animale.

Sono dispositivi che potrebbero risultare allettanti sia per le case farmaceutiche che per gli stessi laboratori accademici, che vogliono accelerare il processo di analisi degli effetti delle droghe o dei farmaci stessi senza l’utilizzo di animali o cavie di qualunque natura.

 


Tuttavia, la loro realizzazione non è di certo semplice ne economica: al momento, i dispositivi sono prodotti in ambienti totalmente sterili, utilizzando complessi processi a più step, che permettono l’acquisizione di tutti i dati necessari per la loro realizzazione.

“Per cercare di superare questi ostacoli, li abbiamo affrontati simultaneamente grazie alla produzione digitale”

spiega Travis Busbee, coautore dell’articolo scientifico e dottorando alla Wyss e SEAS

“sfruttando i nuovi bio inchiostri per la stampa 3D, siamo capaci di automatizzare la fabbricazione dei chips mentre incrementiamo la complessità dei dispositivi stessi”.

I suddetti inchiostri integrano dei sensori di deformazione morbidi all’interno della microarchitettuta del tessuto, permettendo quindi la stampa di un cuore in un solo chip con tutti i sensori integrati.

“Lo studio è una fortissima dimostrazione di come le nostre piattaforme e i nostri strumenti possano creare dei chip completamente funzionanti per gli screening dei nuovi farmaci e per poter anche modellare le malattie”

spiega Jennifer Lewis, Sc.D

“E lo stiamo facendo spingendo i confini della stampa tridimensionale attraverso lo sviluppo e l’integrazione di molteplici materiali funzionali all’interno di dispositivi stampati”.

Il chip contiene più parti, ognuna delle quali con tessuti separati e sensori integrati, aspetto che ha permesso ai ricercatori di studiare tutti i tessuti cardiaci che caratterizzano il cuore in una sola volta.

Ognuna delle otto celle contiene uno dei chip con sensori integrati
Ognuna delle otto celle contiene uno dei chip con sensori integrati.
Johan U. Lind/Harvard University

Per dimostrare l’efficacia, i ricercatori hanno eseguito sia studi di droga che studi a lungo termine sui cambiamenti graduali che riguardavano lo stress contrattile dei tessuti cardiaci ingegnerizzati, che possono verificarsi nel corso di diverse settimane.

“I sensori raccolgono continuamente dati dai tessuti, mentre questi si sviluppano, maturando e migliorando la loro contrattilità. Allo stesso tempo, permettono lo studio degli effetti graduali dovuti all’esposizione cronica di tossine di vario tipo”

spiegano i ricercatori.