Gli studi sul cancro, in tutte le sue forme, si presentano con ritmo e interesse esponenziale in questo frangente storico: dai metodi di chirurgia genetica, alle immunoterapie sperimentali fino ai vaccini contro diverse forme di cancro. Ciò vale anche per la diagnostica: rappresenta, infatti, il fattore chiave per captare in tempo i segnali della leucemia e poter intervenire tempestivamente in accordo con l’ormai diffuso “prevenire è meglio di curare”.
Le leucemie sono tumori delle cellule staminali, da cui originano le cellule del sangue, e sono causate da anomalie presenti nel DNA.
Infatti, la parte corpuscolata del sangue (globuli rossi, bianchi e piastrine) deriva dalle cellule staminali prodotte dal midollo osseo. Nelle persone affette da leucemia si presenta una proliferazione eccessiva di cellule staminali, chiamate anche cellule leucemiche o blasti, che ostacola lo sviluppo fisiologico delle cellule del sangue.
Vengono distinte in acute e croniche, in base alla velocità di sviluppo della malattia: cronica se le cellule tumorali crescono più lentamente ma in numero maggiore e acuta se invece aumentano velocemente.
Un’altra importante classificazione è data anche dall’origine della cellula tumorale: leucemia linfoide se nasce dalle cellule linfoidi del midollo osseo (da cui si sviluppano i linfociti) oppure mieloide se origina dalle cellule mieloidi (da cui hanno origine globuli rossi, piastrine e globuli bianchi diversi dai linfociti).
Il trattamento della leucemia prevede, come prassi frequente, l’utilizzo di terapie combinate con lo scopo di migliorare l’aspettativa e la qualità di vita del paziente. In genere si opta per la chemioterapia, che comprende farmaci somministrati per via orale o endovenosa, per riportare alla normalità il numero delle cellule.
Esistono anche terapie che stimolano il sistema immunitario a distruggere i blasti. In alcune forme di leucemia viene utilizzato l’interferone alfa per rallentare la crescita delle cellule tumorali oppure anticorpi monoclonali che colpiscono le cellule leucemiche.
Si può ricorrere al trapianto di cellule staminali emopoietiche da donatore compatibile per rimpiazzare le cellule malate, distrutte dalla chemio o radioterapia. Spesso però, a seguito del trapianto, le cellule tumorali sfuggono al sistema immunitario. Il risultato? Una recidiva, con cui si intende il ripresentarsi, a distanza di tempo, del processo patologico. Fino al 70% dei decessi dopo trapianto sono associati a recidiva.
Il trapianto di cellule emopoietiche (detto anche HCT) si presenta però come unica opzione terapeutica potenzialmente curativa per i pazienti a basso rischio, nonostante possa comportare una ricaduta.
Ecco perché ai ricercatori del Vanderbilt University Medical Center e del Tennessee Valley Healthcare System è parso fondamentale sviluppare un test diagnostico che permetta un monitoraggio facile e veloce del rischio di recidiva. Potrebbe trarne grande vantaggio chiunque abbia scelto consapevolmente il trapianto nella speranza di una possibile guarigione.
I ricercatori hanno individuato un biomarcatore significativo per la valutazione delle recidive nel paziente: le interazioni tra leucociti ed endotelio. Due fattori molto importanti da analizzare sono:
A questo punto è lecito chiedersi come un video di soli dieci secondi possa aiutare concretamente nella diagnosi della patologia e nello studio di questi fattori. C’è anche di più: oltre a presentarsi come un metodo diagnostico rapido, si può dire non invasivo.
Come ottenerlo? Primariamente, la pelle offre un comodo accesso per il monitoraggio dell’interazione tra leucociti-endotelio. La microvascolatura dermica può essere studiata, in modo non invasivo, grazie alla videomicroscopia confocale a riflettanza. Infatti, questa permette di visualizzare le cellule del sangue muoversi nel microcircolo a velocità video.
Nello studio è stato utilizzato il VivaScope 1500 (Calibre ID), un microscopio confocale approvato dalla FDA statunitense.
Più nello specifico: il microscopio sfrutta una luce laser nel vicino infrarosso (830 nm), a bassa potenza per acquisire sezioni ottiche 8 × 8 mm2 in tessuti fino a 0,2 mm di profondità a 0,7 μm di risoluzione laterale e 3 μm assiale.
Il microscopio cattura 0,5 × 0,5 mm2 campi visivi a una velocità video di 9 fotogrammi al secondo, consentendo la visualizzazione in tempo reale della microvascolatura dermica superiore.
Sono stati scelti 56 pazienti (età mediana: 59 anni, di cui 38 maschi) che avevano subito entro 100 giorni l’HCT per cancro ematologico. Sono stati sottoposti a videomicroscopia cutanea non invasiva. I video del flusso microvascolare dermico sono stati registrati con il microscopio confocale a riflettanza, già illustrato precedentemente.
Nel calcolo dell’adeguatezza prognostica (in cui sono stati utilizzati i modelli statistici di Cox), il marker scelto dai ricercatori presenta una forte associazione nel caso di recidiva. Lato “negativo”? Ancora non si conosce il motivo preciso per cui le associazioni tra leucociti-endotelio più forti siano collegate ad una futura ricaduta.
Le interazioni leucocito-endoteliali possono dunque aiutare realmente i medici a identificare e monitorare i pazienti a rischio di recidiva.