270HC: la biomolecola derivata dal colesterolo che blocca il coronavirus
Nell’attesa di un vaccino che possa finalmente bloccare l’avanzata del Coronavirus, il mondo è impegnato nella ricerca di metodi di diagnosi più rapidi e possibili mezzi per riuscire a trovare soluzioni complementari per la cura di questa patologia. In questo scenario, l’Italia sta contribuendo sotto diversi aspetti. Una scoperta recentissima di firma tutta italiana mostra come la biomolecola 270HC potrebbe essere in grado di agire come inibitore nella replicazione del virus SARS-CoV-2.
Si chiama 27-idrossicolesterolo (27OHC) ed è presente nel nostro corpo come prodotto fisiologico del metabolismo ossidativo del colesterolo. È questo l’enorme vantaggio che offre, proprio perché si trova naturalmente all’interno del nostro corpo.
Una scoperta di grande rilevanza scientifica nata dalla collaborazione fra tre centri: Panoxyvir, start-up innovativa coordinatrice del lavoro, il Centro Internazionale di Ingegneria Genetica e Biotecnologia (ICGEB) di Trieste e l’Ospedale di Desio.
Cos’ha di speciale questa molecola?
I prodotti dell’ossidazione del colesterolo della famiglia degli ossisteroli hanno un effetto di modulazione della risposta immunitaria e possono bloccare la replicazione di virus. Queste molecole sono, inoltre, già presenti nel sangue umano come prodotto normale del metabolismo. Il fatto che siano già ‘conosciute’ dal corpo umano è sicuramente preferibile all’utilizzo di sostanze che potrebbero avere effetti tossici sull’organismo. Date queste premesse, i ricercatori hanno deciso di focalizzare l’attenzione sulla biomolecola 27OHC (ossisterolo-27-idrocolesterolo) e sul ruolo che potesse avere nella lotta al SARS-CoV-2.
Lo studio
Per studiarne l’effetto sull’infezione da coronavirus, lo studio è stato partito da un’analisi in vitro: delle cellule sono state coltivate in laboratorio e successivamente infettate con il virus SARS-CoV-2. Non tutte hanno però ricevuto il trattamento con 27OHC. Le cellule non trattate sono state utilizzate come riferimento, ovvero come gruppi di controllo. Le cellule trattate e non sono state, quindi, incubate per lasciare evolvere la situazione ed infine osservate al microscopio per trarre conclusioni su quanto fosse grave l’infezione virale.
I risultati dei test sono stati positivi: il trattamento con la biomolecola 270HC ha con successo ridotto l’infettività del virus SARS-CoV-2 in modo proporzionale alla dose somministrata. Inoltre è stato osservato che questa biomolecosa ha proprietà antivirali anche per altri virus molto diversi da SARS-CoV-2. Ciò ha portato a pensare che l’azione della sostanza sia ‘rinforzante’ per le cellule più che nociva per il virus e che, quindi, l’azione antivirale sia dovuta ad una risposta del paziente più che all’eliminazione del virus tramite l’agente antivirale.
In aggiunta agli esperimenti in vitro, sono state condotte delle osservazioni in vivo su un gruppo di pazienti con sintomi variabili da lievi a gravi e paragonati con un gruppo di controllo. Grazie a delle analisi sierologiche sui campioni dei pazienti analizzati, è stata notata una correlazione tra la gravità dei sintomi e il livello di 27OHC. Quest’ultimo appare ridotto in pazienti con sintomi sia lievi sia gravi, diminuendo in relazione alla gravità dei sintomi fino ad arrivare a una riduzione del 50% nei pazienti più gravi.
La differenza fondamentale rispetto ad altri ossiteroli considerati in studi precedenti è che i livelli di questi nel sangue erano solo di poco inferiori alla norma e non correlati alla gravità dei sintomi mostrati. Nonostante il motivo della riduzione della biomolecola 270HC sia ancora in fase di studio, un’ipotesi è che lo stress indotto dall’infezione virale abbia delle ripercussioni sui mitocondri e sugli enzimi responsabili della sua produzione.
In conclusione, i pazienti affetti da SARS-CoV-2 presentano una riduzione drastica dei livelli di 27OHC. Questo porta a pensare che, al netto delle dimostrate proprietà antivirali in vitro e il fatto che sia una molecola già presente nel corpo umano, la molecola possa essere impiegata come antivirale somministrabile ai pazienti. In questo modo si potrebbe reintegrare la perdita dovuta all’infezione e al contempo usufruire delle proprietà antivirali.
Articolo a cura di Paolo Seghetti.