3 modi diversi per costruire…un rene!
“L’idea è quella di liberare i pazienti dalle macchine per la dialisi, per sempre”.
Esiste più di un modo per costruire un rene artificiale, tanto che tre diversi gruppi di ricercatori hanno dato le proprie differenti interpretazioni sul come poter fare a costruirne uno.
I reni sono degli organi facente parte dell’apparato urinario, addetti alla pulizia del sangue, espellendone gli scarti tramite l’urina.
Questi dispositivi possono essere indossabili, impiantabili o artificiali, ognuno dei quali potrebbe migliorare nettamente la vita dei pazienti, cercando soluzioni per sostituire, magari, all’odierna dialisi.
La dialisi è una sostituzione parziale del lavoro svolto dai reni in pazienti affetti da insufficienza renale, in particolare quando la funzionalità del rene risulta compromessa dall’85% in su.
Come funziona?
Sostanzialmente, la dialisi filtra i liquidi espellendone le scorie, sostituendo o aiutando i reni stessi nel loro compito. Inoltre, mantiene l’equilibrio dell’organismo, correggendo i livelli delle sostanze tossiche nel sangue.
La procedura è di importanza vitale: di fatti, se un paziente affetto da insufficienza renale dovesse rifiutarla, morirebbe a causa dell’accumulo di tossine nel sangue.
Normalmente, la procedura avviene 3 volte a settimana e dura dalle 3 alle 4 ore mentre il sangue fluisce dal corpo del paziente alla macchina, pulendolo e ritornando al paziente.
Il compito della dialisi non è solo quello di pulire gli scarti, ma anche di mantiene l’equilibrio degli elettroliti e la rimozione dell’acqua in eccesso.
La dialisi da sola, ovviamente, non basta: il paziente deve monitorare la propria dieta, liquidi compresi, in modo da avere una buona salute da una seduta all’altra.
Steven Weisbord, neufrologo presso la University of Pittsburgh School of Medicine, asserisce che, nonostante tutto, i pazienti devono affrontare anche una serie di effetti collaterali derivanti dalla dialisi.
Gli studi di Weisbord, infatti, confermano che tra gli effetti collaterali vi sono stanchezza, depressione, pressione sanguigna bassa e crampi muscolari.
“Si tratta di un cavo di sicurezza per i pazienti, ma la dialisi viene associata a effetti negativi, come peggioramento della qualità della vita o sintomi fastidiosi.”
asserisce Weisbord.
Tre dispositivi
Cintura Renale
La Wearable Artificial Kidney, o WAK sembra una cintura ingombrante. Oltre una decade di lavoro e un costo di oltre 30 milioni di dollari hanno portato allo sviluppo della cintura.
Il dispositivo, clinicamente testato in Europa, potrebbe addirittura abbattere i costi della dialisi, procedura decisamente costosa.
Il WAK pesa circa 5Kg, opera grazie a batterie da 9 volt e utilizza meno di 400 ml di liquido. Al contrario, le attuali macchine per dialisi pesano almeno 300 volte di più rispetto alla cintura e richiedono una connessione ad una presa di 110 volt, utilizzando 120 litri di liquido per il trattamento; inoltre, la cintura può essere indossata dal paziente per 7/24, fornendo un metodo efficace e più naturale per rimuovere i liquidi in eccesso.
Nonostante questi aspetti positivi, il WAK ha riscontrato alcuni problemi: tra questi tubi piegati, pompe irregolari e batterie che non potevano essere sostituite. Il rischio peggiore è stato riscontrato dalla possibilità nel formarsi delle bolle di gas, fatali se raggiungono il cervello o il cuore.
Per questi problemi, gli studi continuano per raggiungere l’obiettivo finale, confermato anche dai ricercatori stessi, ovvero la possibilità di auto-somministrazione in modo indipendente da parte dei pazienti.
I Reni Cyborg
Spostiamoci nell’Università della California, a San Francisco, che insieme allo alla Cleveland Clinic in Ohio, hanno dato vita al Kidney Project nel 1998, per creare il primo rene “bioartificiale” che combina la parte meccanica e biologica del rene.
La dimensione del dispositivo è grande come una tazzina di caffè.
Il meccanismo è molto semplice: il sangue prima fluisce attraverso un filtro che drena le particelle in eccesso e tossiche grazie ad una membrana di silicone.
L’ammasso di sostanze di scarto passa attraverso un bioreattore ( cioè un apparecchio in cui si inducono reazioni chimiche attraverso l’azione di microrganismi, utilizzando anche enzimi specifici), con cellule provenienti da reni donati, non risultati idonei per il trapianto.
Questo particolare tipo di dispositivo non è stato ancora testato come prototipo, ma le prove delle singole unità sono risultate promettenti.
Il bioreattore, in particolare, è stato testato in un gruppo di pazienti con dializzatore ( rene artificiale), paragonandolo con un altro gruppo di pazienti aventi solo il dializzatore; il risultato è stato a favore dell’integrazione del dializzatore.
Il tasso di sopravvivenza del gruppo senza bioreattore, infatti, è stato del 39%, mentre quello del gruppo con bioreattore è stato ben del 67%.
Attualmente il Kidney Project sta sollecitando la ricerca di fondi per raggiungere l’obiettivo, il cui obiettivo finale è quello di offrire una cura piuttosto che un trattamento.
L’Impianto
Il terzo ed ultimo dispositivo è nato da una start-up che ha recentemente ricevuto una sovvenzione dalla IndieBio, una start-up accelerator per le aziende biotecnologiche di San Francisco.
Il principio alla base è la nanofiltrazione (processo di separazione grazie ad una membrana utilizzata soprattutto per la filtrazione di liquidi con una bassa percentuale di solidi), per imitare la funzione dell’organo.
Morteza Ahmadi, fondatore della start-up, ha cominciato lo studio degli strumenti di dialisi miniaturizzati già nel 2010, durante il dottorato di ricerca presso l’Università di Waterloo, Ontario in Canada.
La novità consiste nella realizzazione di un filtro ultrasottile in membrana di silicio cristallino, con un diametro da 5 a 20 nanometri, dimensione adatta per lo scarto delle particelle mantenendo i globuli rossi intatti.
Il problema presentato dal silicio cristallino è stata la sua fragilità e la sua predisposizione alle fratture; inoltre il silicio può provocare una reazione immunitaria, pertanto deve essere rivestita da materiale biocompatibile.
Chiaramente, il segreto per ovviare a questo problema non è stato rivelato, ma lo stesso Ahmadi conferma che il dispositivo sarà in grado di filtrare il sangue dei pazienti in continuità per anni, senza necessità di pulizia o manutenzioni particolari.
Le stesse parole di Ahmadi sono
“L’idea è quella di liberare i pazienti dalle macchine per la dialisi, per sempre”.