Un tema sempre posto sotto ai riflettori, riacceso soprattutto in quest’ultimo periodo, è sicuramente quello dell’aborto. Ma andiamo a chiarire il significato di questa parola, che a molti risulta spaventosa.
“Aborto”, dal latino abortus, è l’interruzione di gravidanza.
Gli ultimi dati che abbiamo sul numero di aborti risalgono al 2017, anno in cui si sono registrate 80.733 interruzioni volontarie di gravidanze (IVG). Numero nettamente inferiore rispetto a quello registrato l’anno successivo all’entrata in vigore della legge 194: ben 187.752 IVG.
In Italia, il 22 maggio 1978, entrò in vigore la legge che tutela le donne in caso di aborto indotto. Prima di allora, l’interruzione di gravidanza volontaria era ritenuta reato penale. L’aborto indotto, secondo la nostra legge, è consentito fino alla tredicesima settimana di gravidanza, circa 90 giorni dopo le ultime mestruazioni. Tuttavia, trascorsi i primi 90 giorni, l’interruzione è ancora consentita nel caso in cui “siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. ” o “la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna“.
La parola aborto richiama alla mente solo le gravidanze volutamente interrotte. In realtà esistono due tipi di aborto:
L’aborto indotto, o terapeutico è la definizione propria di interruzione volontaria di gravidanza. Attualmente, si può ricorrere alla via farmacologica o chirurgica per procedere al IVG.
La scelta del tipo di trattamento è molto influenzata dalla settimana di gestazione in cui si trova la donna. Infatti l’interruzione per via farmacologica può presentare diversi rischi ed effetti collaterali, se la donna è ad uno stato avanzato della gravidanza. Nei primi due mesi il trattamento farmacologico è efficace quanto la chirurgia. Per questo genere di terapia si usano il mifepristone, (sigla: RU-486) uno steroide sintetico, e un prostaglandinico, che ha il compito di indurre le contrazioni per permettere all’utero di espellere il contenuto.
Optando per la via chirurgica si evitano, inoltre, eventuali allergie ai farmaci. E’ importante sottolineare che anche in questo caso, il rischio di complicanze aumenta con l’avanzare della gestazione.
Si può parlare di aborto spontaneo fino alla ventesima settimana di gestazione, superate le quali si parla, invece, di decesso del feto.
Se l’aborto avviene nelle prime settimane non risulta necessario nessun intervento medico. Andando avanti con la gestazione, però, si procede con il raschiamento, tecnica che prevede l’utilizzo di una sorta di cucchiaio tagliente per rimuovere l’embrione, resti abortivi o residui placentari nell’utero.
Il nostro corpo attiva sempre dei campanelli di allarme in caso di malfunzionamenti. Anche nel caso di problemi con la gravidanza ci sono dei segnali che esso ci invia. Il sanguinamento vaginale è uno di questi. Generalmente si manifesta entro le prime tredici settimane e l’incidenza è del 20%.
Le cause di un aborto spontaneo possono essere molteplici: fumo di sigaretta, consumo di droghe ed alcool, ovaio policistico, malattie scarsamente controllate (es. diabete), malattie tiroidali, ecc.
Chiariti i concetti, la parola aborto forse non sarà più così tanto un tabù!