Aggressione con acido: come soccorrere la vittima?
In una società all’avanguardia, che si evolve velocemente, facendosi portavoce di valori come l’uguaglianza dei diritti degli esseri umani, e che si serve di strumenti mediatici, sociali e culturali per combattere attivamente ogni forma di violenza, sia fisica che psicologica, troppo spesso sentiamo, tuttavia, parlare di violenza e di abominevoli mezzi per perpetuarla. In occasione della ricorrenza della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, che ogni anno si celebra il 25 novembre, a partire dal 1999, anno in cui venne istituita dall’ONU in ricordo del sacrificio delle sorelle Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, uccise dagli agenti del dittatore Rafael Leonidas Trujillo in Repubblica Dominicana, il nostro contributo scientifico sarà quello di approfondire dal punto di vista medico una tema caldo e spesso doloroso, ossia quello delle donne, in primis, essendo il sesso maggiormente colpito, e più in generale di tutte le vittime di aggressione con acido.
Cos’è un’aggressione con acido?
Un’aggressione con acido , detto anche “vitriolage” , è una forma di aggressione violenta che implica l’atto di gettare acido o analoga sostanza corrosiva sul corpo di un altro individuo “con l’intenzione di sfigurare , mutilare , torturare o uccidere “. La reazione chimica che si innesca è così potente da bruciare e danneggiare in maniera irreversibile il tessuto cutaneo, esponendo le ossa che a loro volta possono andare incontro a dissoluzione. I tipi più comuni di acido utilizzato sono l’acido solforico e nitrico, più raramente viene utilizzato l’acido cloridrico, che rispetto ai primi due è meno dannoso.
Gli effetti sull’organismo
La gravità degli effetti dipende sia dalla concentrazione della sostanza corrosiva utilizzata che dal periodo di tempo in cui essa è rimasta a contatto con il tessuto cutaneo prima di essere completamente lavata. Considerato che in breve tempo l’acido può erodere la pelle e lo strato di grasso immediatamente sottostante fino a raggiungere l’osso, anche in situazione di soccorso tempestivo, le conseguenze possono essere di notevole entità. Il danno da ustione è facilmente visibile: si tratta di una reazione infiammatoria con vasodilatazione e aumento della permeabilità dell’epidermite, con fuoriuscita di plasma, seguita da trombosi dei vasi dermici, necrosi coagulativa e, in casi gravi, necrosi del derma e del sottocute.
Spesso è un movente passionale a spingere l’aggressore a compiere il gesto, con l’intenzione di voler sfigurare la vittima e di volerne annullare l’identità, motivo per cui la sostanza corrosiva viene lanciata sul volto della stessa. Ciò può portare alla distruzione/deformazione delle ossa del cranio con perdita dei capelli, distruzione della cartilagine del naso e delle orecchie, deformazione o ustione delle palpebre con perdita della vista. Anche la bocca viene deformata e perde la propria gamma normale di movimento; se vengono distrutte le labbra si espongono i denti con conseguenti difficoltà d’alimentazione. L’inalazione di vapori acidi solitamente provoca difficoltà respiratorie, fino a causare problemi all’esofago. Inoltre, in aggiunta a tali danni specifici, le vittime corrono il rischio di contrarre setticemia, insufficienza renale, depigmentazione cutanea e giungere nei casi più gravi alla morte.
Primo soccorso: come intervenire?
La prima cosa da fare è arrestare il processo ustionante, con la rimozione di eventuali indumenti che potrebbero essersi imbevuti di sostanza corrosiva, e il lavaggio del tessuto cutaneo interessato da una fonte abbondante di acqua in grado di eliminare ogni traccia della sostanza. È importante che l’acqua sia in quantità abbondante, perché essa rappresenta in chimica un composto anfotero, ossia un composto che può comportarsi come acido o come base a seconda della sostanza con cui viene a contatto:in particolare in presenza di una base dona uno ione idrogeno, mentre in presenza di un acido ne accetta uno. Ciò significa che piccole quantità di acqua versate sulla ferita/ ustione provocata dall’acido potrebbe potenziarne l’effetto dannoso. Pertanto bisogna aumentare il più possibile la quantità utilizzare per rimuovere la sostanza, nonché lavare in maniera continuativa o con acqua corrente la zona interessata. Si consigliano almeno 15 minuti di irrigazione continua, ripetuti a breve distanza da una successiva irrigazione.
Durante il soccorso, il soccorritore non deve sottovalutate l’azione irritante della sostanza corrosiva e il conseguente fastidio che ne possa derivare quale la sensazione di pizzicore in gola, nel naso, o bruciore agli occhi. In fase iniziale il paziente potrebbe essere in stato di schock, perdita di sensi, perdere il controllo degli sfinteri o avere una crisi epilettica. Sono sintomi secondari rispetto all’azione dell’acido.Il risveglio del paziente è poi una seconda fase critica in quanto il dolore che viene provato dalla vittima è grave e prolungato, con una forte sensazione di bruciore.
Una volta lavata la zona interessata e attivato il 118, si può procedere alla ricerca della bottiglietta con cui l’aggressore ha colpito la vittima al fine di recuperare importanti informazioni sull’agente chimico primario, che può essere quindi tamponato dal medico con gli opportuni medicinali e le opportune pratiche. È importante sottolineare che il personale che tratta i pazienti ustionati può essere a rischio di contrarre infezioni (HIV, epatiti C e B), è buona norma, dunque, usare dispositivi di protezione individuale.
Come interviene il personale ospedaliero?
Le tre maggiori complicanze che bisogna considerare nel soccorso di un paziente ustionato grave per aggressione da acido sono:
- lo shock ipovolemico: secondario alla disidratazione e allo squilibrio idroelettrolitico;
- le infezioni: secondarie al danno profondo delle ustioni. Sono la causa principale di morte dei pazienti che sopravvivono alla fase acuta; provocano un’immunodeficienza secondaria che porta complicanze infettive, sia a livello locale che sistemico;
- il dolore: l’ustione, in particolar modo se profonda, provoca dolore intenso.
Il personale specializzato, medico o infermieristico, che effettua il primo soccorso dopo le fasi iniziali di arresto del processo ustionante e dopo aver valutato l’entità dell’ustione con la famosa regola del 9, procede con la rianimazione idroelettrica del paziente, somministrando nelle prime 24 ore post-ustione 2-4 ml di Ringer lattato x il peso corporeo in kg x la percentuale della superficie corporea ustionata. Il 50% nelle prime 8 ore il rimanente nelle 16 ore successive. Sono monitorati inoltre i parametri vitali, la perfusione delle estremità del corpo e l’attività respiratoria. La tempestiva correzione dell’ipovolemia con la terapia infusionale reidratante è fondamentale per evitare lesioni agli organi vitali con drastico peggioramento prognostico. D’altra parte la somministrazione eccessiva di liquidi, può aggravare l’edema tissutale aumentando la pressione interstiziale, riducendo la perfusione dei tessuti e aumentando il rischio di una sindrome compartimentale e di edema polmonare. È conveniente isolare il paziente al fine di prevenire eventuali contaminazioni batteriche delle superfici ustionate. A tal proposito deve essere iniziata tempestivamente una terapia antibiotica mirata ed è raccomandato un costante monitoraggio dell’eventuale infezione con emocolture, urinocolture e broncoaspirati. Infine, è fondamentale la somministrazione di farmaci analgesici per la gestione del dolore provato dal paziente. L’area a contatto con l’acido, a seconda della velocità di intervento, risulterà più o meno compromessa e spesso sono necessari uno o più interventi chirurgici affinché venga ripristinata la parte colpita.