La presenza di un cromosoma in più comporta spesso rischi e limitazioni a livello corporeo per tutti i soggetti con Sindrome di Down. Tra questi, la possibilità di sviluppare la malattia di Alzheimer rappresenta una scoperta abbastanza recente che merita un maggiore approfondimento. Come afferma la rivista Current Alzheimer Reasearch è stato infatti riscontrato che circa il 40-80% delle persone con Sindrome di Down sviluppa problemi di demenza a partire dal cinquantesimo-sessantesimo anno di vita. Dunque, prima di capire il collegamento presente tra le due malattie è necessario analizzare le loro caratteristiche più in dettaglio.
La malattia di Alzheimer è una malattia neurodegenerativa che porta a una graduale perdita di memoria. La corteccia cerebrale di persone affette da questa patologia è caratterizzata dalla presenza di ammassi neurofibrillari dovuti all’iper-fosforilazione della proteina Tau e placche di proteina Beta-amiloide, prodotta dall’APP (Amyloid Protein Precursor), che innescano un processo di progressiva morte neuronale. Diversi studi hanno mostrato come un malfunzionamento della proteina Tau sia strettamente legato alla formazione di placche amiloidi. Questa proteina, infatti, è in grado di generare dei filamenti che contribuiscono all’espulsione di sostanze tossiche dalla cellula.
Un’anomalia della proteina Tau comporta, quindi, la formazione di filamenti meno efficienti che non saranno in grado di espellere correttamente le sostanze di scarto. Di conseguenza alcune proteine rimarranno intrappolate all’interno del neurone. Tra queste la Beta-amiloide svolge un’azione particolarmente tossica, portando alla morte cellulare e alla formazione di placche amiloidi.
La Sindrome di Down è un’anomalia cromosomica dovuta alla presenza di una copia aggiuntiva del cromosoma 21. La malattia comporta problemi nello sviluppo sia fisico che mentale. La maggior parte dei soggetti con Sindrome di Down presenta, infatti, difetti a livello cardiaco o gastrointestinale, deficit intellettivi e difficoltà nel linguaggio. Avere una copia extra di cromosoma 21 significa avere un maggiore numero di geni che codificano per la produzione di numerose proteine che non sempre, però, hanno effetti benefici sull’organismo se presenti in grandi quantità. La proteina Beta-amiloide potrebbe proprio essere una di queste, aumentando la probabilità di formazione delle placche amiloidi.
La relazione tra Sindrome di Down e Alzheimer risulta quindi essere prettamente genetica. Come riportano i dati raccolti dall’Alzheimer’s Association, infatti, al giorno d’oggi sono stati trovati più di 400 geni all’interno del cromosoma 21, tra cui anche quello che codifica per la produzione di APP, la cui presenza eccessiva nella corteccia cerebrale è considerata una delle maggiori cause dello sviluppo dell’Alzheimer. infatti, avere un maggior quantitativo di Beta-amiloide nell’organismo aumenta il rischio di formazione delle placche amiloidi che sono considerate tra le possibili responsabili dell’improvvisa morte neuronale caratteristica della malattia di Alzheimer.
Nelle persone affette da Sindrome di Down i primi sintomi della malattia di Alzheimer ad emergere sono legati a funzioni controllate dai lobi frontali del cervello, tra cui: indifferenza, apatia, irritabilità, depressione, ridotta interazione sociale e modificazioni della personalità. A differenza di quanto avviene nella maggioranza delle persone, in cui le aree principalmente colpite da accumuli di Beta-amiloide sono la corteccia entorinale e l’ipotalamo, nel caso di soggetti con Sindrome di Down le zone più interessate risultano essere i lobi frontali. Questo può essere dovuto allo scarso sviluppo di queste aree, tipico di persone affette dalla malattia, rendendo anche piccole lesioni altamente compromettenti per la loro corretta funzionalità. Per i soggetti affetti da Sindrome di Down la diagnosi risulta ancora più complessa anche a causa di una insufficienza mentale già preesistente e caratteristica della condizione. Questo può, infatti, inficiare sui risultati della valutazione neuropsicologica, rendendo, inoltre, inapplicabili i test valutativi più comunemente utilizzati.
Quindi, la ricerca è orientata verso lo studio di possibili biomarcatori in grado di identificare con una buona sensibilità e specificità la malattia di Alzheimer in soggetti affetti da Sindrome di Down. Le proteine Tau e Beta-amiloide sono tra i biomarcatori tuttora più studiati. Come dimostra uno studio condotto dal Barcelona Down Mediacal Center in collaborazione con il reparto di neurologia dell’ospedale San Pau di Barcellona, in soggetti con Sindrome di Down con età maggiore di 40 anni è stato notato un netto aumento della presenza di proteine Tau e Beta-amiloide nel plasma e nel liquor cerebrospinale
Sembrano esserci evidenti indizi a favore di questa relazione. Purtroppo, non c’è cura per la malattia di Alzheimer, patologia invalidante già di per sé che, se unita alla Sindrome di Down, rende estremamente difficile la vita del paziente e dei suoi familiari fin dagli esordi. L’unica soluzione sembra essere un intervento tempestivo nella diagnosi in modo da poter agire per migliorare la vita delle persone affette dalla patologia e delle loro famiglie.
Articolo a cura di Eleonora Folli.