Curiosità e consigli

Andrea Lanfri: l’incredibile storia del primo uomo con pluriamputazioni che ha scalato l’Everest

“I limiti sono solo nella nostra mente”; questo afferma Andrea ma soprattutto questo dimostra con la sua storia. Andrea Lanfri, nato a Lucca nel 1986, viene colpito nel 2015 da una grave forma di meningite meningococcica. Dopo un mese di coma e l’amputazione delle due gambe e di sette dita delle mani, torna più forte di prima. Deciso a combattere per riprendersi in mano la sua vita, Andrea supera il lungo e travagliato periodo di ripresa e riabilitazione, che lo porta a sentire dentro di sé una gran voglia di correre. Quasi un dispetto alla meningite, che gli ha portato via le gambe.

Andrea Lanfri: una storia che inizia con un esordio nella nazionale italiana di atletica leggere

Grazie a una raccolta fondi lanciata online, Andrea Lanfri compra il primo paio di protesi sportive con le quali inizia un brillante esordio nella nazionale italiana di atletica leggera paraolimpica. Dopo una carriera di successo, che lo porta alla conquista di medaglie, titoli e record, Andrea Lanfri decide di tornare alla sua grande passione: la montagna. Passione che era sempre stata nei suoi pensieri, infatti durante il periodo in ospedale dopo il coma, Andrea si era promesso di tornare ad arrampicare, e avrebbe ricominciato proprio da dove era rimasto, ovvero dall’ultima scalata fatta prima della malattia, in Corsica.

Dopo questa operazione da lui nominata “coming back to life”, Andrea Lanfri diventa inarrestabile. Prende parte al progetto sperimentale “One Project Research” sulle possibilità di contrastare i malesseri legato alle attività di montagna; successivamente sale in cima al Monte Rosa, al vulcano Chimborazo in Ecuador, e persino sull’Everest, diventando il primo uomo con pluriamputazioni a salire sul tetto del mondo.

Credits: Ilaria Cariello Photography

Nelle sue spedizioni, Andrea Lanfri mette insieme corsa, ciclismo, arrampicata e alpinismo. Ad esempio, il progetto “from 0 to 0” ha visto Andrea impegnato a coprire la distanza dal mare al monte in bicicletta, poi cambio veloce di assetto (scarpette/piedi/lame/protesi…) e senza fermarsi scalata della vetta per poi tornare verso il mare di corsa. Con questo progetto Andrea è salito sul monte Pisanino e sull’Etna. Con il progetto “Five peaks”, Andrea Lanfri ha scalato le vette Cervino, Monte Bianco, Marmolada, Gran Paradiso e Monviso, insieme all’amico di cordata Massimo Coda. Nel 2022, con la spedizione “K2K”, Andrea e Massimo sono saliti insieme sul Kilimangiaro e sul Monte Kenya. L’ex atleta paralimpico ha anche ottenuto anche il Guiness World Record del miglio più veloce corso in alta quota.

L’intervista con Andrea Lanfri

Andrea, che abbiamo avuto l’onore di intervistare in questo articolo, condivide sempre con piacere le sue avventure e la sua storia affinché possano dare coraggio e speranza.

Dopo la battaglia con la meningite, dove hai trovato la forza di riprendere tutto quello che facevi prima e anzi, spingerti molto più in là?

“Al mio risveglio dal coma, in ospedale, anche se i medici non avevano ancora amputato, dentro di me sapevo già che molto probabilmente non sarei uscito dall’ospedale proprio come ne ero entrato. Dopo mesi di cure e di una condizione fisica stabile e in leggero miglioramento, all’improvviso il dolore ai miei arti, anche se sedato, era insopportabile, avrei quasi voluto tagliarli io. La setticemia durante una sera riprese il controllo di me, e a quel punto i medici sono stati costretti ad amputare per salvarmi la vita. La mia reazione al mio risveglio meravigliò tutti: non ero affatto abbattuto né sconvolto, paradossalmente non sentivo quel dolore continuo che per mesi mi aveva fatto compagnia, al posto dei miei piedi c’erano due grandi fasciature, e da lì dentro di me è partita questa sfida personale, in gesto di “ripicca”, di “dispetto” contro quel “batterio”, quel “destino” che voleva fermarmi, e semplicemente pensai di reagire in maniera completamente opposta rispetto a ciò che quel “batterio” sperava … invece di fermarmi, sarei andato veloce. Mi giurai che un giorno sarei tornato a fare le mie amate passioni. E’ partito tutto come una sfida, e questa sfida ha sempre cercato il superamento della precedente, e senza neanche accorgermene ho addirittura superato me stesso, spingendomi molto più in là di quello che avrei mai immaginato.”

Pensi che avere delle passioni radicate sia importante per superare gli ostacoli che si possono presentare nel corso della vita?

“Credo proprio di sì, e ne sono sempre più convinto. Una sfrenata passione per quello che veramente piace fare, se tolta o privata può farti fare cose per riprenderla che nemmeno immagini!”

Quando hai ricominciato a fare sport, hai avuto paura di non farcela? Di rimanere deluso?

“Alla fine no. Ero più che consapevole che la battaglia più dura, dolorosa e difficile era stata superata, orami tutto era più semplice, quando tocchi veramente il fondo c’è solo da risalire e non c’è spazio per la delusione, ma solamente tante belle emozioni da godere a pieno senza porsi questi problemi.”

Sei ritornato alla tua grande passione, la montagna, con l’operazione “coming back to life” scalando nuovamente la Corsica, come avevi fatto prima delle amputazioni. Che sensazioni hai provato?

“Questo progetto è stato il primo che ho realizzato, post malattia. Niente di eccezionale per molti, ma per me quel progetto aveva un significato preciso. Fu l’ultima arrampicata in parete prima della malattia, e in ospedale avevo individuato questo momento come la fine di una cosa e l’inizio di un’altra. E’ stata l’ultima prima della malattia ed è stata la prima dopo la malattia, era un po’ come riprendere da dove avevo lasciato, in quel periodo intermedio era stata solamente una parentesi aperta ma poi chiusa.

Dopo tante battaglie vinte contro questo “batterio”, con questo gesto avevo vinto la guerra, e proprio da quella salita piano piano è ripartito tutto, non per caso ho voluto chiamarlo “Ritornare alla vita”, proprio come cita una famosa canzone dei Pink Floyd.”

Che rapporto hai con le tue protesi? Cambiando spesso il tipo in base all’attività che pratichi, è facile riabituarsi subito al nuovo paio?

“Il mio vantaggio è sempre stato quello che le mie protesi, che poi in realtà non le chiamo mai così ma “i miei nuovi piedi”, le ho sempre accettate, fin da subito. Le ho viste come il mio strumento per raggiungere i miei obbiettivi. Obbiettivi, gli stessi di prima, ma raggiunti con un nuovo strumento, appunto questi nuovi piedi di carbonio e titanio. Ho molti piedi! Quelli da corsa, da alpinismo, da trekking, da arrampicata, da ciclismo, e quelli “civili” quelli che utilizzo tutti i giorni per andare a lavoro o a fare la spesa. Non è stato facile all’inizio, le protesi non sono un paio di scarpe, che basta indossarle e si va, c’è un bel lavoro dietro, mi piace chiamarlo allenamento e non riabilitazione, ma se la mente è aperta e vuole imparare ad utilizzarle e ad accettare i suoi pro e contro, la strada è tutta in discesa! Sono caduto per terra tante volte, soprattutto con quelle da corsa, le lame! Le chiamo ancora i “super piedi” difficili da gestire e controllare, ma ad ogni caduta imparavo e mi rialzavo verso l’obbiettivo!”

Credits: Ilaria Cariello Photography

Difficilmente si sente parlare di protesi per l’alpinismo e l’arrampicata, come sono fatte le tue? Che caratteristiche hanno?

“Non esiste uno standard di costruzione per l’alpinismo, né per l’arrampicata. La mia è una condizione particolare, non avendo le dita, cioè, utilizzando solo i pollici, devo fare pieno affidamento ai miei piedi, che in realtà non sono piedi… Questo, negli ultimi anni mi ha spinto a testare e ideare, meglio ancora comunare vari sistemi di costruzione e tipologie di piedi, per cercare di risolvere le problematiche che trovavo su roccia o su ghiaccio. Tutt’ora alcune problematiche rimangono, e sono in continua sperimentazione per cercare di risolverne il più possibile. “

“La mia protesi d’alpinismo deve essere molto leggera, pratica e più stabile.”

Durante le tue spedizioni hai avuto modo di girare l’Italia e il mondo. Cosa hai imparato confrontandoti con culture diverse? Qual è il ricordo più importante che ti porti dentro?

“Da quando ho iniziato a fare alpinismo di alta montagna, mi sono spinto oltre la sola spedizione alpinistica, questo mi ha portato a conoscere ed esplorare un po’ in giro per il mondo, conoscendo culture e realtà di cui non ero e non siamo abituati a vedere. Nel 2019 durante un mio viaggio in una delle regioni più povere del Nepal, il Dolpo ho potuto conoscere questa realtà, che è il popolo Nepalese. Il ricordo più bello è stato quando, durante una mattina, nel nostro trekking, ho fatto tappa ad una scuola in un villaggio, la reazione dei bambini vedendomi giocare con loro a pallone con le protesi fu veramente emozionante!”

Con la spedizione K2K, condivisa con il tuo amico di cordata Massimo Coda, avete raccolto dei fondi per bambine e bambini diversamente abili del Kenya. Ci puoi raccontare di più su questa iniziativa?

Credits: Ilaria Cariello Photography

“Kilimangiaro e Kenya, queste sono le 2 K. Le due montagne più alte del continente Africano. Un’avventura condivisa con l’amico di montagna e di “gamba” Massimo questa estate. Per me il Kilimangiaro è stata la terza vetta in lista del mio progetto “My7Summits” mentre il Kenya un simbolo di libertà, come nel libro di Benuzzi viene raccontata come simbolo di libertà per due Italiani imprigionati. Questa è stata per noi il nostro gesto di libertà. Due spedizioni dal sapore anche solidale, per poter nel nostro piccolo contribuire ad aiutare dei bambini in Kenya con la rigenerazione e donazione di carrozzelle.”

Pensi bisognerebbe investire di più nel ricondizionare gli ausili dismessi?

“Sì, personalmente svolgo una specie di riciclo, cercando di usare il più possibile le protesi. Avendo un’usura, specialmente su quelle da alpinismo e trekking, quando non sono più valide per questo, le utilizzo per il ciclismo e l’arrampicata dove per funzionalità sono ancora valide. Cercando così di sfruttare veramente il 100 %.”

Quali difficoltà pensi ci siano oggi per persone diversamente abili che vogliono praticare sport (es costi delle protesi, impianti adatti, ecc)? Cosa si potrebbe migliorare?

“Fortunatamente ad oggi esistono già molte più soluzioni rispetto a quando ho iniziato io nel 2015, però i costi sono veramente molto elevati, sia per la realizzazione ma soprattutto per la manutenzione.”

Abbiamo tutti qualcosa da imparare da questa grande storia, e ringraziamo Andrea per averla condivisa con noi.

A cura di Elisa Maria Fiorino

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