Sulla base delle indicazioni dell’Agenzia italiana del farmaco e del Consiglio superiore di sanità, il ministro della salute ha firmato il decreto per approvare la distribuzione degli anticorpi monoclonali delle aziende Eli Lilly e Regeneron/Roche control il Covid-19, solamente per quei pazienti che sono considerati ad alto rischio di sviluppare forme gravi di malattia, con possibili esiti mortali.
Quando il nostro corpo viene attaccato da sostanze estranee, esso reagisce iniziando a produrre un gran numero di anticorpi attraverso il sistema immunitario. Gli anticorpi sono una classe di proteine, secrete dai linfociti B, che ha l’importante ruolo di combattere tutto ciò che viene identificato come non-self, ovvero come estraneo. Per farlo, si legano specificamente ad un’altra proteina, chiamata antigene, che si trova sulla superficie di agenti patogeni come virus e batteri. Gli anticorpi circolano in tutto il corpo finché, entrati in contatto con un agente esterno, trovano l’antigene e si attaccano ad esso. Una volta attaccati, possono coinvolgere altre parti del sistema immunitario nella loro opera di difesa.
Mimando quello che accade naturalmente nel nostro corpo, i ricercatori hanno iniziato a progettare anticorpi che mirano specificamente a un antigene di loro interesse, come, ad esempio, quello trovato sulle cellule tumorali. Questi anticorpi, prodotti in laboratorio, prendono il nome di anticorpi monoclonali (mAbs o Moabs) e sono a tutti gli effetti dei farmaci. Lo sviluppo di tecniche d’avanguardia nell’ingegneria genetica ha contribuito a creare anticorpi per il trattamento di molte malattie, inclusi alcuni tipi di cancro. Tuttavia, trovare l’antigene giusto da utilizzare come target non è sempre facile. Infatti, finora i mAb si sono dimostrati più utili contro alcuni tipi di cancro rispetto ad altri.
La scoperta degli anticorpi monoclonali risale al 1975, quando due ricercatori Cesar Milstein e Georges Kohler misero a punto la tecnica per la sintesi dei mAbs che valse loro il premio Nobel per la medicina nel 1984. Per riuscire in questo obiettivo, svilupparono la tecnica dell’ibridoma.
In un animale da laboratorio, normalmente un topo, si induce la risposta immunitaria verso un antigene specifico, somministrando lo stesso antigene agli animali. Una volta verificata l’avvenuta stimolazione della risposta immunitaria, i linfociti B vengono prelevati dalla milza del topo immunizzato e, successivamente, vengono posti in coltura con cellule derivanti da un tumore del sangue murino (un mieloma), non producente anticorpi. Le condizioni in cui avviene questa coltura sono tali da favorire la fusione tra queste due specie cellulari, dalla quale vengono generati i cosiddetti ibridomi. Nascendo dalla fusione di queste due cellule, gli ibridomi mantengono da un lato la capacità di produrre anticorpi specifici, propria dei linfociti, e dall’altra assumono la capacità di dividersi pressochè infinitamente, caratteristiche tipica di tutte le cellule tumorali. La singola cellula, divenuta immortale, inizia a dividersi formando un clone di cellule identiche capaci di produrre quantità illimitate dello stesso anticorpo chiamato, appunto, monoclonale.
Esistono quattro diversi modi in cui possono essere realizzati e sono denominati in base a ciò di cui sono fatti:
La prima applicazione terapeutica è stata fatta con anticorpi di derivazione murina. Tuttavia, sono state riscontrate una serie di debolezze che hanno ostacolato il loro utilizzo in terapia. Tra queste l’inefficace funzione di riconoscimento reciproco tra l’anticorpo murino e il corrispondente recettore umano e lo sviluppo di una risposta anticorpale umana verso gli anticorpi murini, poichè vengono riconosciuti come corpi estranei dal sistema immunitario umano. Per aggirare questo problema è stata sfruttata la tecnologia del DNA ricombinante, che ha permesso di sviluppare anticorpi costituiti dalla regione variabile murina e dalla regione costante umana, cosiddetti anticorpi “chimerici”.
Queste correzioni si sono evolute ancora di più nel corso del tempo, permettendo di ottenere anticorpi in cui la proteina murina è rappresentata solamente in quelle parti dell’anticorpo che interagiscono con l’antigene, mentre la restante parte è umana. In questo caso si parla di anticorpi “umanizzati”. Infine, le tecnologie dell’ingegneria genetica, che hanno portato alla creazione di animali transgenici, hanno consentito di generare un animale in grado di produrre anticorpi indentici a quelli umani.
Gli anticorpi monoclonali possono essere prodotti in grandi quantità e possono essere utilizzati sia per scopi diagnostici sia per scopi terapeutici. Gli anticorpi utilizzati per scopo terapeutico sono classificati in base alla loro attività:
Gli anticorpi monoclonali utilizzati nei regimi terapeutici antitumorali riconoscono e si legano a fattori fondamentali per lo sviluppo delle cellule tumorali oppure ad antigeni derivanti da alcuni tipi di tumori. Appartengono a questo gruppo il rituximab, uno dei primi approvati per il trattamento del cancro, il trastuzumab, un anticorpo umanizzato diretto contro il recettore HER2 e utilizzato principalmente nel trattamento del tumore alla mammella, il cetuximab e il bevacizumab e moltissimi altri.
Esistono anche anticorpi monoclonali che possono essere coniugati con farmaci o molecole radioattive, oppure che possono essere diretti contro i “check-point immunologici” che vengono utilizzati in immunoterapia. Per alcuni tipi di tumore, queste terapie hanno ricevuto l’approvazione, come nel caso del linfoma di Hodgkin, del cancro al seno e del tumore colon-retto.
Alcuni mAbs possono esercitare anche una funzione anti infiammatoria. In questo caso il loro antigene bersaglio è costituito da sostanze coinvolte nell’infiammazione come, ad esempio, il TNF-α (tumor necrosis factor alfa). TNF-α è una citochina coinvolta nella regolazione dei sintomi che si riscontrano in malattie infiammatorie su base autoimmune quali, ad esempio, l’artrite reumatoide e l’artrite psoriasica.
I mAbs sono impiegati anche nella cura di malattie autoimmuni e nella prevenzione del rigetto degli organi trapiantati. Di questi, il primo a ricevere l’approvazione è stato un anticorpo monoclonale, noto con il nome di OKT3. Esso agisce come immunosoppressore, riducendo la risposta immunitaria acuta nei pazienti che vengono sottoposti a trapianto d’organo. Oggi il suo impiego è limitato ai casi di rigetto resistente all’immunosoppressione con steroidi.
Nonostante rappresentino una terapia all’avanguardia per il trattamento e la diagnosi di molte patologie, un aspetto da non sottovalutare sono i costi necessari alla loro produzione. Produrre proteine biologiche è estremamente più costoso che produrre le piccole molecole che costituiscono i farmaci. Basti pensare che, delle terapie ad oggi approvate e disponibili sul mercato, la maggior parte sono principalmente vendute negli Stati Uniti, in Europa e Canada e il costo per un anno di trattamento varia tra i 15.000$ fino ai 200.000$ per anno di trattamento negli USA. In aggiunta a questo, la somministrazione di terapia monoclonale avviene tramite iniezione endovenosa, il che comporta la presenza di costi aggiuntivi dati dalla necessità di personale sanitario qualificato.
Infine, i mAbs non sono facili da duplicare e, di conseguenza, è difficile riuscire a produrne una versione più economica. Questa problematica può rappresentare uno stimolo per trovare nuove soluzioni per una produzione di anticorpi monoclonali più economicamente sostenibile.