Audrey Mash è la protagonista di questa storia al limite del credibile: 6 ore in arresto cardiaco e poi, mediante l’ECMO, si risveglia senza danni cerebrali.
Audrey Mash era impegnata in una escursione sui Pirenei in compagnia del marito quando sono stati sorpresi da una tempesta di neve e, a causa della scarsa visibilità, i due escursionisti hanno perso l’orientamento.
L’unica soluzione è stata quella di trovare riparo in qualche grotta naturale della montagna, in attesa che la tempesta finisse ma, le temperature erano scese troppo e Audrey ha incominciato ad avvertire i sintomi dell’ipotermia.
Lentamente, la sua temperatura corporea era scesa molto al di sotto dei 35°C, a causa di una dispersione di calore molto superiore rispetto a quanto effettivamente il suo organismo fosse in grado di produrre.
Siccome l’ipotermia compromette tutte le funzioni fisiologiche, compresi la conduzione nervosa, il tempo di reazione neuromuscolare e l’attività metabolica rallentano, come anche la frequenza respiratoria e cardiaca.
Ed è quello che è successo ad Audrey che, lentamente, ha perso la forza di parlare, di muoversi fino a perdere conoscenza e arrivare all’arresto cardiaco.
Dopo quasi 3 ore e con l’arrivo dei soccorsi, la situazione sembrava drammatica come ha affermato uno dei soccorritori: “Quando siamo arrivati la donna presentava un quadro di morte apparente, non respirava, non aveva polso e la sua temperatura era di 18°”.
Dopo inutili tentativi di rianimazione cardiopolmonare, immediata è stata la corsa in elicottero all’ospedale Vall d’Hebron di Barcellona dove, i medici erano pronti a utilizzare il dispositivo ECMO nella speranza di risvegliarla.
Ma cos’è? L’ECMO (Extra Corporeal Membrane Oxygenation) è una tecnica che supporta le funzioni vitali mediante circolazione extracorporea aumentando l’ossigenazione del sangue, riducendo i valori ematici di anidride carbonica (CO2), incrementando la gittata cardiaca ed agendo sulla temperatura corporea.
Il sistema è costituito da una pompa che sostituisce temporaneamente la funzionalità cardiaca che eietta il sangue del paziente in un ossigenatore a membrana porosa che simula la respirazione polmonare e, dunque, purifica il sangue dalla CO2 e lo arricchisce di O2.
Prima di essere nuovamente messo in circolo, il sangue attraversa uno scambiatore di calore che lo riporta a temperatura corporea normale.
I tubicini che permettono la circolazione extracorporea sono inseriti nelle vene centrali, come giugulare interna o femorale, e nell’arteria. Ciò evidenzia l’alta invasività della tecnica che presenta, inoltre, un tasso di mortalità molto alto ma che, in alcuni casi, può essere salva vita come per Audrey.
Infatti, quando il corpo si è leggermente riscaldato è stato possibile utilizzare il defibrillatore e, dopo la scarica elettrica, il cuore della donna ha ricominciato a battere.
Fortunatamente nessun danno neurologico, anche se sono rimasti alcuni problemi di mobilità e sensibilità alle dita ma, l’importante per Audrey è che questa avventura si sia solo un brutto ricordo.
“La paziente, in questo caso particolare, si è salvata grazie all’ipotermia che ha protetto il cervello. Normalmente, purtroppo, dopo pochi minuti dall’arresto cardiaco, i danni cerebrali diventano irreversibili” ha spiegato il cardiologo interventista Giuseppe Musumeci.