Spinal Mouse è il più evoluto metodo di valutazione della colonna vertebrale – elemento essenziale per mantenere il corpo in posizione ortostatica – ed offre in pochi secondi un’analisi individuale e la visualizzazione della forma e mobilità della spina dorsale.
Spinal mouse ® è un dispositivo che, combinato con un programma per computer, valuta le curvature della colonna vertebrale senza applicare radiazioni nocive | Close-up Engineering
Spinal Mouse rappresenta il più efficace strumento in dotazione utile a fornire informazioni per il recupero posturale, dando risposte personalizzate per ogni individuo, paziente o atleta che sia, contribuendo a migliorarne la forma fisica e la qualità della vita in modo duraturo. Esso è user friendly, portatile, non invasivo, evita l’esposizione ad RX ed ha un ottimo rapporto qualità-prezzo. Spinal Mouse offre un report di valutazione funzionale e posturale non più solo statico, difatti permette la misurazione del movimento della colonna e l’immediato confronto grafico nei diversi piani: eretta/flessione o eretta/estensione. Esso si usa facilmente, basta guidarlo manualmente sulla pelle lungo la colonna vertebrale e connetterlo via wireless al PC in modo tale che attraverso il software in dotazione venga riprodotta sullo schermo la misurazione in tempo reale.
Il dispositivo è guidato manualmente sulla pelle lungo la colonna vertebrale | Close-up Engineering
I dati sono immagazzinati e visualizzati in modo da poter essere confrontati con valori norma, consentendo un’analisi approfondita ed evidenziando eventuali problemi di ipo od iper mobilità.
Il dispositivo è dotato di due rulli inglobati su un supporto mobile che consentono il monitoraggio del contorno spinoso. Il contorno è registrato da tre sensori che in 3D tramite una connessione Bluetooth trasmettono i dati clinicamente rilevanti al programma per l’elaborazione.
Con Spinal Mouse gli angoli segmentali vengono registrati ed evidenziati in grafici funzionali ed immediati. E’ possibile confrontare misure in differenti posture, mediante semplici confronti incrociati sul paziente.
La documentazione di problemi esistenti, l’indicazione di terapie, la soddisfazione dei clienti, i rimborsi assicurativi sono a garanzia dell’efficienza di tale prodotto.
Prominence risponde al quesito che forse rappresenta un’ulteriore complicanza e tedia tutte quelle donne che si trovano a convivere con la mancanza di un arto inferiore: come indossare i tacchi alti?
Un team di studenti dell’università Johns Hopkins ha ideato una prima versione di una possibile soluzione. Prominence è il primo piede protesico sul mercato che si adatta alla moda popolare dei tacchi alti.
Gli ideatori hanno riferito riguardo Prominence: “I tacchi alti sono diventati una parte integrante dello stile di vita femminile nella società moderna, che interessa tutti gli aspetti della vita sia professionale che sociale”.
Il progetto nasce con la volontà di aiutare le donne americane veterane di guerra che convivono con l’assenza di un arto inferiore. Decine di piedi protesici sono immessi sul mercato, ma la maggior parte sono progettati per adattarsi a scarpe basse e nessuna fin ora è capace di sostenere un tacco alto più di due pollici che è meno dell’altezza dei tacchi che in media indossano le donne negli Stati Uniti.
Prominence è il primo piede protesico sul mercato che non è su misura e che si adatta alla moda popolare dei tacchi alti.
Con circa 2.100 donne americane che hanno perso una gamba o il piede in servizio militare la richiesta di una protesi che ospita le calzature alla moda femminili è sicuramente crescente.
La sfida era ardua: creare un piede che si regoli sulla gamma delle varie altezze che può avere tacco, che inoltre garantisca una posizione stabile senza scivolare e supporti il peso di una donna media pur avendo esso stesso un aggravio di meno di tre chili e naturalmente abbastanza sottile per ospitare una scarpa da signora.
Prominence è il primo piede protesico sul mercato che non è su misura e che si adatta alla moda popolare dei tacchi alti.
Oggi tutto questo è racchiuso ed è possibile grazie a Prominence e grazie agli studenti del JH che hanno lottato e si sono impegnati duramente per bilanciare la forza e la flessibilità del piede, l’affidabilità e la praticità,la robustezza e leggerezza: dopo innumerevoli tentativi persi hanno costruito un meccanismo tallone-regolazione con dischi di alluminio ad incastro che si apre e si chiude con una leva attaccata alla caviglia, inoltre hanno usato una centralina idraulica off-the-shelf che permette un’andatura liscia e la rispettiva flessione alla suola.
Utilizzando quattro tipi di scarpe da donna, la squadra ha testato Prominence su sette persone per analizzarne la risposta in fase di test. Il progetto è “work in progress” ma certamente sin da subito eclatante.
L’acceleratore lineare TrueBeam – TB – prodotto dalla californiana Varian Medical System è uno tra i sistemi più avanzati presenti oggi sul mercato mondiale per la radioterapia oncologica con fotoni. TrueBeam è estremamente versatile e le sue caratteristiche tecniche la rendono particolarmente indicata per eseguire trattamenti a elevata complessità in cui è necessario colpire attraverso la terapia sedi anatomiche difficilmente raggiungibili e poste in prossimità di tessuti sani che devono essere tutelati.
Imaging ad altissima risoluzione e in tempo reale nel corso della seduta radioterapica; elevatissima precisione di irradiazione, che tiene conto del movimento interno degli organi dovuto al respiro | Close-up Engineering
TrueBeam tramite una piattaforma completamente digitale e robotizzata permette di “medicare” il tumore sfruttando le più aggiornate ed avanzate tecniche di processo radioterapico: la Radioterapia a Intensità Modulata – di tipo statico IMRT e volumetrico VMAT – l’Image Guided Radiotherapy – IGRT – in 3 e 4 dimensioni, la Radioterapia Adattiva – ART – la Radioterapia Stereotassica e Radiochirurgia.
TrueBeam utilizza fasci di fotoni erogati in tempi brevissimi. La piattaforma dell’acceleratore è dotata di un sistema di collimazione ad alta definizione che consente la massima conformazione e accuratezza nell’irradiazione del tumore. TrueBeam possiede funzioni specifiche per la IGRT che rendono possibile la visualizzazione dell’anatomia del paziente prima, durante e dopo la somministrazione della frazione di dose, ottenendo in tempo reale la precisa localizzazione del volume tumorale a bersaglio.
Il sistema TB è dotato di un lettino di trattamento robotizzato con sei gradi di libertà controllato in remoto da una consolle di comando per la correzione del posizionamento del paziente. I sistemi di acquisizione e visualizzazione delle immagini, permettono di erogare la terapia sia su bersagli statici che su bersagli mobili, sincronizzando l’irradiazione con l’atto respiratorio del paziente: questo è un requisito necessario per trattare le neoplasie soggette al movimento quali sono quelle che interessano i distretti polmonari e addominali e contenere la tossicità correlata alla terapia.
Questo cosa significa? Da ciò segue che potranno essere curati anche tumori localmente avanzati e non operabili come ad esempio quello del fegato, del polmone, del pancreas e del sistema nervoso centrale. La precisione extra-millimetrica, l’imaging ad alta risoluzione e in tempo reale, le informazioni sul movimento d’organo con il respiro nonché tempi di erogazione velocissimi, consentiranno di ampliare i campi di applicazione attuale della radioterapia estendendone i benefici a un maggior numero di pazienti.
L’impiego di algoritmi avanzati rende possibile calcolare correttamente le dosi di terapia anche in presenza di forti disomogeneità tissutali o geometrie complesse.
TrueBeam può essere usato per il trattamento di tutte le patologie oncologiche anche in concomitanza con la chemioterapia, ad esempio nei tumori di testa e collo e in quelli primitivi cerebrali. L’acceleratore permette di fare non solo radioterapia e radiochirurgia, ma anche radioablazione.
L’ultima acquisizione di TB in Italia è avvenuta a Napoli – (N.d.R.) mia amata – da parte del Policlinico Universitario Federico II. Come ricorda Arturo Brunetti, vice direttore del Dipartimento di Diagnostica Morfologica e Funzionale, Radioterapia, Medicina Legale del Policlinico Federico II.
Arturo Brunetti, vice direttore del Dipartimento di Diagnostica Morfologica e Funzionale, Radioterapia, Medicina Legale del Policlinico Federico II.
“L’acquisizione di questo grande impianto per la radioterapia è un poderoso passo avanti per la sanità campana che ha per troppo tempo assistito a fenomeni di migrazione sanitaria di pazienti oncologici proprio a causa dello scarso numero di centri pubblici di radioterapia”
Il cucchiaio Liftware – diciamolo subito – è stato sviluppato con l’intento di migliorare la vita per coloro che presentano patologie i cui sintomi si manifestano attraverso tremori ed in particolare per coloro che sono affetti da mordo di Parkinson.
Malattia di Parkinson: tremore ed altri sintomi
Liftware Spoon, cucchiaio per la malattia di parkinson | Close-up Engineering
La malattia di Parkinson è una patologia neurodegenerativa, ad evoluzione lenta ma progressiva, che coinvolge principalmente il controllo dei movimenti e dell’equilibrio. La malattia fa parte di un gruppo di patologie definite “Disordini del Movimento” e tra queste è la più frequente. I principali sintomi motori della malattia di Parkinson sono il tremore a riposo, la rigidità, la bradicinesia – lentezza dei movimenti automatici – e in una fase più avanzata, l’instabilità posturale che si manifesta con la perdita di equilibrio: questi sintomi si presentano in modo asimmetrico – un lato del corpo è più interessato dell’altro – e variano da paziente a paziente. La maggior parte di coloro che convivono con questa malattia – ma non tutti – presenta un tremore che si nota a riposo o quando si cammina. Il tremore spesso interessa una mano, ma può interessare anche i piedi o la mandibola e si manifesta come un’oscillazione con cinque-sei movimenti al secondo.
Le persone colpite da tremore, trovano spesso difficile o impossibile compiere semplici gesti come mangiare, scrivere o vestirsi da soli: sebbene vi siano a disposizione delle terapie, sia farmacologiche che chirurgiche, esse raramente riescono a risolvere completamente il problema. Per questo motivo, negli ultimi anni sono stati sviluppati diversi strumenti volti ad aiutare chi è colpito da questa patologia a recuperare, per quanto possibile, la propria autonomia. Il colosso Google, tra i tanti progetti, ha in cantiere anche quella di un cucchiaio “smart” pensato per chi soffre dei tremori causati dal morbo di Parkinson: Liftware Spoon.
IL CUCCHIAIO PER IL PARKINSON
Liftware Spoon, cucchiaio per la malattia di parkinson | Close-up Engineering
Lift Lab– un’azienda acquisita da Google nel 2014 – ha prodotto Liftware: si tratta essenzialmente di un cucchiaio elettronico – che può essere utilizzato anche come forchetta semplicemente cambiando l’apposito accessorio – con uno stabilizzatore interno che riduce le vibrazioni date dal tremore fino ad una stima del 76%. La sua efficacia è stata dimostrata attraverso uno studio clinico dal titolo “A noninvasive handheld assistive device to accommodate essential tremor: A pilot study”, condotto dai ricercatori del Lift Labs Design di San Francisco in California e dal Dipartimento di Neurologia e Neurochirurgia dell’Università di Michigan USA e pubblicato sulla rivista Movement Disorders di Maggio 2014 che ha coinvolto 15 pazienti – 9 uomini e 6 donne – affetti da tremore.
Liftware Spoon, cucchiaio per la malattia di parkinson | Close-up Engineering
Grazie a Liftware i partecipanti hanno riportato una riduzione delle vibrazioni dovute ai tremori compresa tra il 71% e il 76%, riuscendo dunque a mangiare in modo del tutto autonomo. Il prodotto sviluppato da Google è dotato di un meccanismo elettronico in grado di registrare i movimenti della mano e di distinguere i movimenti intenzionali da quelli causati dalla malattia.
COME FUNZIONA?
Liftware Spoon, cucchiaio per la malattia di parkinson | Close-up Engineering
Il motore interno del cucchiaio Liftware genera un movimento in direzione opposta a quella del tremore, stabilizzandolo e migliorando dunque la qualità della vita per coloro affetti da mordo di Parkinson. Nello specifico il cucchiaio nasconde un sistema di sensori direttamente connessi al dispositivo che rilevano il tremore captando i movimenti convulsi della mano, mentre il microchip a cui vengono trasmessi li analizza ed il motore interno, infine, li annulla. Sebbene abbia la potenzialità di aiutare un elevatissimo numero di persone – ad onor di chiarezza – è bene sottolineare che Liftware non è adatto a tutti i tipi di tremore: in particolare, i risultati più soddisfacenti si sono avuti nei casi di tremore medio e moderato. Liftware è alimentato con una batteria ricaricabile – che ne permette l’utilizzo in ogni luogo – ed è sufficiente riporlo a faccia in giù per metterlo in stand by.
SUL MERCATO: il cucchiaio Liftware è attualmente in commercio negli Stati Uniti, dove è possibile comperare il kit iniziale ed gli eventuali accessori il prezzo è di circa 200 dollari, purtroppo però non è coperto dalle assicurazioni sanitarie e per questo motivo è stata avviata una campagna di donazione a favore di coloro che potrebbero trarre beneficio da Liftware ma non possono permetterselo. La medesima situazione la ritroviamo In Italia dove attualmente l’acquisto di Liftware Spoon non prevede rimborsi. La possibilità di acquisto avviene anche attraverso amazon.com o direttamente sul sito del produttore liftware.com.
Nei laboratori Zhenan Bao a Stanford, i ricercatori stanno strutturando nuovi materiali.
Lo scopo è quello di creare protesi della mano sensibili con l’uso di “Pelle Artificiale”.
La mano umana ha 17.000 unità tattili – composte di cinque grossi tipi di recettori: recettori liberi, corpuscoli di Meissner, dischi di Merkel, corpuscoli di Pacini e terminazioni di Ruffini – che ci consentono di trattenere gli oggetti e ci collegano, in un certo qual modo, al mondo fisico attraverso la pelle che, difatti, costituisce la nostra interfaccia verso il mondo esterno. Risulta semplice arrivare alla deduzione che una mano protesica o almeno quelle presenti attualmente sul mercato non possiede tale numero di sensori. Proprio partendo da questo dato effettivo alla Zhenan Bao si spera di mutare la situazione.
Dunque: Come dare alle protesi della mano sensibilità reale?
La risposta viene fornita dalla professoressa Bao, vincitrice di un MIT Technology Review Innovator Under 35 nel 2003 e docente di ingegneria chimica alla Stanford University, che ha trascorso un decennio cercando di sviluppare un materiale che riproduca la capacità della pelle di flettere e prima tra tutte quella di guarire e fungere da rete di sensori finalizzati a trasmette segnali tattili, temperatura e dolore al cervello.
Le aree di ricerca del Gruppo Bao includono la sintesi di materiali organici e polimerici, design organico, dispositivi elettronici e lo sviluppo di applicazioni per l’elettronica organica. Il loro approccio è multidisciplinare e coinvolge competenze in ambito chimico, dell’ingegneria biomedica, scienza dei materiali, fisica ed ingegneria elettrica. I dispositivi di interesse attuale sono transistor organici e nanotubi di carbonio a film sottile, celle fotovoltaiche organiche, sensori biologici e interruttori molecolari.
Ogni dito su questa mano espositore in legno è dotato di un sensore di contatto elastico collegato a conduttori elettrici che trasportano i dati ad un centro di controllo elettronico flessibile sul palmo | Close-up Engineering
Questi dispositivi sono utilizzati come strumenti di caratterizzazione per gli studi fondamentali di trasporto di carica e fotofisica. Essi sono anche di interesse pratico per l’elettronica su scala nanometrica, fonti energetiche alternative a basso costo e la vasta area dei circuiti flessibili in plastica.
Lo scopo?
Creare un tessuto integrato con sensori che ricoprendo la protesi della mano è in grado di replicare alcune delle funzioni sensoriali della pelle in modo da contribuire ad alleviare, tra tutte le limitazioni di un arto protesico, una delle sintomatologie più diffuse in coloro che si trovano a convivere con la mancanza di un arto: la sindrome dell’arto fantasma.
Questa è la prima volta che un materiale simil-pelle flessibile è capace di rilevare la pressione e trasmettere un segnale ad un componente del sistema nervoso
Il cuore della tecnica?
Una costruzione a due strati.
Lo strato superiore crea un meccanismo di rilevamento della pressione e lo strato inferiore agisce come un circuito per trasportare segnali elettrici e tradurli in stimoli biochimici compatibili con le cellule nervose. Per creare questo nuovo materiale che funga come pelle artificiale per la protesi della mano, i ricercatori del gruppo Bao sono riusciti a mescolare e compattare diversi “ingredienti” in modo da rendere il tessuto robusto e capace di ripararsi in tempi rapidi. Il componente principale è un polimero plastico composto da lunghe catene di molecole unite da legami a idrogeno. Questi legami molecolari sono relativamente facili da spezzare ma quando vengono nuovamente in contatto, permettono un rapido raggruppamento delle molecole “rigenerando” la struttura originale.
Questa base polimerica dona inoltre al materiale il vantaggio di risultare morbido e flessibile. In laboratorio i ricercatori hanno aggiunto a questo mix polimerico delle sferette di nickel grandi pochi micron. Queste micro-sfere non solo rendono il tessuto più resistente, ma incrementano notevolmente la conducibilità elettrica del materiale grazie all’uso di piccole punte presenti sulle sferette capaci di concentrare il campo elettrico e rendere così più facile lo scorrimento degli elettroni nel materiale. Tale tessuto dunque può essere utilizzato ed insidiato sulle protesi della mano come sensore per riprodurre in formato digitale il senso del tatto. Il cardine su cui si regge il tatto artificiale sono le micro-sfere di nickel che facilitano il percorso degli elettroni: “rimbalzando” da una sfera all’altra, gli elettroni possono così spostarsi più facilmente nel polimero. Imprimendo una piccola pressione sulla “pelle artificiale”, il gap fra le sfere muta alterando quindi la conducibilità elettrica. Monitorando il flusso di corrente elettrica che attraversa il materiale è possibile dunque stabilire se la pelle artificiale è sottoposta a tensioni o pressioni: questo rende possibile “percepire” ad esempio la pressione corrispondente alla stretta di mano. Per analizzare la sensibilità i ricercatori hanno innestato il tessuto su un piccolo manichino concludendo così la grande utilità di questo materiale per la realizzazione di protesi della mano.
In conclusione il test sicuramente più notevole riguarda la capacità di “guarigione”: dopo aver applicato una leggera pressione si è osservato che in pochi secondi il materiale aveva recuperato il 75% della resistenza e conduttività originale. In meno di mezz’ora poi il materiale era tornato intatto: un’abilità spettacolare se paragonata a quella della pelle umana il cui self-repair impiega almeno qualche giorno.
Non ci resta che attendere ulteriori sviluppi in merito a quest’intuizione portentosa che ha generato un’idea che si dimostrerà vincente.
I robot hanno una vastissima gamma di “punti forti” ma la delicatezza tradizionalmente non configura tra di essi. Dita ed arti rigidi rendono difficile afferrare, tenere e manipolare una serie di oggetti di uso quotidiano, senza correre il rischio di farli cadere o schiacciarli.
Partendo da questa semplice constatazione, i ricercatori del MIT CSAIL – Computer Science And Artificial Intelligence Laboratory – hanno scoperto che la soluzione può essere quella di rivolgersi a una sostanza più comunemente conosciuta con il nome di “Silly Putty“: silicone.
Grazie all’uso, ormai comune, di una stampante 3D, gli scienziati sono stati in grado di ricreare una Mano Robot realizzata in silicone capace di sollevare oggetti fragili ed estremamente sottili come ad esempio un uovo ed un CD. La Mano Robot, fatta di materiali convenzionali come silicone, carta e fibre, può anche raccogliere – come si vede in video – manufatti vari come una palla da tennis, un cubo di Rubik ed un peluche. Ancora una volta un’insieme di prodotti che sottolineano l’interesse a rendere “delicata” l’interazione.
L’aspetto ancor più impressionante è la presenza, sulle tre dita di cui è dotata la Mano Robot, di speciali sensori che possono stimare con buona precisione le dimensioni e la forma dell’oggetto che si intende manipolare.
Daniela Rus, direttore del distretto di Robotica del CSAIL, sottolinea:
La difficoltà d’interagire con oggetti di diverse dimensioni e materiali, è spesso per i robot un limite alle loro capacità. Riuscire a fare in modo che essi abbiano la una presa forte e delicata è il primo passo importante.
I ricercatori sostengono che i robot dotati di “mani morbide” hanno un certo numero di vantaggi rispetto agli automi convenzionali, tra cui la possibilità di gestire utensili di forma irregolare ed oggetti di spessore millimetrico evitando compressioni.
Source: news.mit.edu
Gli umanoidi dotati di questa particolare Mano Robot rappresentano quindi un intrigante nuova alternativa. Tuttavia, uno svantaggio alla loro “flessibilità” o “conformità” è che spesso hanno difficoltà a misurare con precisione dov’è posizionato l’oggetto.
Entrano in gioco, a questo punto, i sensori.
Quando la Mano Robot è affine ad un utensile, le dita rimandano segnali di localizzazione. Grazie a questi dati, il robot può raccogliere un oggetto sconosciuto e confrontarlo con un cluster esistente di punti che rappresentano i dati immagazzinati e relativi ad oggetti manipolati in regressione. Con soli tre punti campionati in una singola presa, gli algoritmi del robot sono in grado di distinguere prodotti analoghi in termini di dimensioni.
In altre parole, immaginiamo un essere umano bendato in grado con l’utilizzo esclusivo del senso del tatto di riconoscere un dato oggetto: i sensori rappresentano la “vista” tattile del robot. Essi forniscono informazioni tradotte in conoscenza ed un ulteriore bagaglio di competenza.
Il team spera dunque che, con ulteriori progressi, il sistema possa alla fine identificare decine di oggetti distinti, ed essere programmato per interagire con loro in modo arbitrario a seconda della loro dimensione, forma e funzione.
I ricercatori controllano la Mano Robot tramite una serie di pistoni che spingono aria pressurizzata attraverso le dita di silicone. La pressione causa delle bollicine che attraversano e distendono le dita, costringendo e stimolando il loro allungamento.
La mano utilizza due tipi di presa: “avvolge”, l’oggetto è interamente contenuto all’interno della pinza e “pizzica”, in cui l’utensile si tiene con la punta delle dita.
Dulcis in fundo, il sistema funziona praticamente su qualsiasi piattaforma robotica.
Concludiamo con le significative parole della Dottoressa Rus:
Il nostro sogno è quello di sviluppare un robot che, come un essere umano, può avvicinarsi ad un oggetto sconosciuto, grande o piccolo, determinarne la forma e le dimensioni approssimative e capire come interfacciarsi con esso in un unico movimento senza soluzione di continuità.