Pensate che la robotica sia una concezione, un’invenzione del secolo scorso? Decisamente no, anzi. Il termine “robotica” nasce solo nel 1920, da un dramma teatrale intitolato “I robot universali di Rossum”, di Karel Čapek; da qui, l’interesse antropologico per il robot si sviluppa in altri ambiti, specie nella filmografia, da “Guerre Stellari” (del 1977) a “Terminator” (1984) e così via. Si riversa, inoltre, nell’ambito scientifico, dove la rivoluzione elettronica permette la realizzazione di prototipi sempre più simili all’uomo.
La storia della robotica ha un decorso che risale ai tempi più antichi, in cui artigiani esperti non solo in campo meccanico ma anche dei materiali, riuscirono a creare quel che viene conosciuto col termine “automa“.
Automa (αὐτόματοϚ) significa propriamente un meccanismo in grado di operare autonomamente, da solo, senza l’aiuto dell’elettronica.
Districandosi tra mitologia e realtà, la storia degli automi risale addirittura al mondo ellenistico della Grecia antica, in cui il termine “macchina” veniva inteso come un espediente per andare contro la natura stessa. Non a caso il termine greco era proprio “mechané“, in latino poi tradotto con “Deus ex machina“. Tra le più importanti testimonianze elleniche, troviamo la Macchina di Anticitera, considerata un precursore del moderno computer, risalente al 150/100 a.C.; un antico calcolatore con una meccanica estremamente precisa, formata da un planetario mosso da ruote dentate, utilizzato per il calcolo del sorgere del sole, delle fasi lunari, degli equinozi e anche delle date dei giochi olimpici.
Considerata la nostra concezione di robotica umanoide, il primo automa della storia con sembianze umane fu realizzato da un ingegnere e scrittore vissuto nel III secolo a.C, a Bisanzio; il congegno, rinominato “Il servo automatico di Philon” era in grado di servire automaticamente vino.
Avanti nel tempo, papa Silverstro II, salito al rango papale nel 999 d.C., si dice avesse una “testa parlante” talmente intelligente che era in grado di conversare sui più disparati argomenti di politica e di cristianità del tempo. Le risposte consuete erano “si” e “no”, basato sul calcolo di due cifre, costituendo molto probabilmente le prime basi del codice binario moderno.
Nel mondo arabo, nel 1206 il matematico, inventore ed ingegnere meccanico Al-Jazari realizzò il primo automa programmabile della storia, a cui si potesse “dire” cosa fare: si trattava di una nave con 4 musicisti, in grado di realizzare almeno 50 diversi movimenti, utilizzata per l’intrattenimento degli ospiti.
La sua meccanica era costituita da una serie di pistoni e l’automa che suonava i tamburi, a seconda della posizione dei pistoni, poteva eseguire diverse battiture e ritmi.
Anche nella cultura ebraica (sebbene solo mitologica) si può ritrovare un esempio di automa, il Golem, il cui significato letterale è “materia grezza” e in ebraico moderno significa proprio “robot”.
Nel 1495, un Leonardo Da Vinci non poteva essere da meno: progettò infatti un automa cavaliere (con le proporzioni dell’uomo vitruviano), sebbene non vi siano prove certe della sua effettiva costruzione. Grazie ad alcuni disegni ritrovati, contenuti nel Codice Atlantico, e ad altri rinvenuti in taccuini sparsi, nel 1950 il massimo espero dei lavori del Da Vinci, Carlo Pedretti, ricostruì l’automa, perfettamente funzionante. I movimenti sono molto simili a quelli umani, azionati da una serie di cavi e di pulegge, con due meccanismi differenti che controllano sia la parte superiore che inferiore dell’automa.
Duecento anni più tardi, nella Francia del 1700, oltre al bambino scrittore di Pierre Jacquet-Droz, un altro inventore, Jacques de Vaucanson, costruisce un automa flautista, costituito da labbra morbide, una lingua meccanica che fungeva da valvola per il flusso di aria e dita mobili con punte in pelle, in grado di aprire e chiudere i registri del flauto.
Ad oggi, l’idea del robot è un qualcosa di utile, che aiuterà ed affiancherà l’uomo nel lavoro e nella vita di tutti i giorni, basti pensare alla robotica medica e al recente “robot da cucina”. La storia è disseminata di riferimenti e leggende sugli automi e nella mitologia greca troviamo un esempio calzante: il dio Efesto, zoppicante, per essere aiutato “costruì” due domestiche in forma femminile, interamente in oro, descritte con dovizie di particolari, comportamenti inclusi. Una fantasia che trova similitudini nella realizzazione della moderna intelligenza artificiale, dove l’obiettivo è quello di creare robot sempre più umanamente simili all’uomo.
La concezione dell’automa non è solo la dimostrazione del genio meccanico umano, ma può essere interpretata come il voler innalzare la capacità umana ad un qualcosa di divino, emulando la creazione stessa con le proprie mani.
Come riporta Giuseppe O. Longo, Professore di Teoria dell’Informazione alla Facoltà di Ingegneria dell’Università di Trieste “l’automa è lo specchio dell’uomo”, affermando “in questo senso gli automi incarnano sempre – anche nelle nuove vesti informatiche, robotiche e cyb-organiche – l’aspirazione dell’uomo a travalicare i limiti della propria contingenza.” definendo l’homo sapiens come un homo technologicus, un ibrido tra biologia e tecnologia in continua e costante evoluzione.