“Batteri su chip”: i sensori ingeribili che rivoluzionano la diagnostica

Dopo la tecnologia “body on a chip”, di cui abbiamo parlato in un precedente articolo, i ricercatori del MIT hanno sviluppato quelli che loro stessi chiamano “bacteria on a chip”. Si tratta di particolari sensori costituiti da una capsula ingeribile che combina batteri ingegnerizzati ad un’elettronica a bassa energia in grado di tradurre e trasmettere in modalità wireless la risposta dei batteri. Sperimentazioni effettuate sui suini hanno dimostrato l’efficacia del dispositivo nel rilevare emorragie del tratto gastrointestinale.

Con un approccio di questo tipo sarà possibile evitare al paziente procedure invasive, accorciare i tempi per la determinazione del quadro patologico e favorire l’ispezione di aree anatomiche altrimenti difficili da raggiungere.

Idea e sperimentazioni

Batteri su chip. Credits Image: Melanie Gonick/MIT

Negli ultimi decenni i batteri ingegnerizzati hanno suscitato sempre maggiore interesse per la loro capacità di rispondere a stimoli esterni o a specifici markers di malattia producendo segnali di risposta monitorabili attraverso opportune apparecchiature. Nonostante ciò, sino ad ora, il loro utilizzo in campo diagnostico risultava non particolarmente efficace.

Ora, il lavoro di un gruppo di ricercatori del MIT, coordinato da Timothy Lu e Phillip Nadeau, ha portato allo sviluppo dispositivo ingeribile in grado di tradurre la risposta dei batteri ingegnerizzati in dati trasmissibili in modalità wireless ad uno smartphone o ad un computer vicino. La ricerca è stata pubblicata in un articolo di Science.

I ricercatori hanno dimostrato il funzionamento del dispositivo nei suini utilizzando un ceppo di Escherichia coli ingegnerizzato in modo tale che fosse in grado di emettere luce qualora fosse venuto a contatto con l’eme, una componente dell’emoglobina.

I risultati ottenuti sono promettenti: nel giro di due ore, la capsula è stata in grado di diagnosticare senza errori la presenza di sangue, che era stato precedentemente iniettato nello stomaco dei suini.

Com’ è fatto il sensore?

Il sensore presenta quattro comparti nei quali sono inseriti i batteri. Ogni comparto è dotato di un fototransistor, che permettono rilevare l’intensità delle radiazioni luminose che vengono prodotte dai batteri. I dati ottenuti sono trasmessi ad un microprocessore, che a sua volta invia il segnale allo smartphone. I dati possono essere infine elaborati grazie ad un’ app per Android, sviluppata dai ricercatori stessi.

Il sensore ha la forma di un cilindro di circa 1,5 pollici di lunghezza e richiede circa 13 microwatt di potenza. I ricercatori hanno equipaggiato il sensore con una batteria da 2,7 volt in grado di garantire un’autonomia del dispositivo di circa un mese e mezzo.

Questo tipo di dispositivo potrebbe essere utilizzato per un uso singolo, ma può anche essere progettato per rimanere nel tratto gastrointestinale per diversi giorni o settimane, inviando segnali continui.

Prospettive future

La maggior parte del lavoro che abbiamo fatto sulla carta era legato al sangue, ma in teoria si potrebbe ingegnerizzare i batteri a percepire qualsiasi cosa e produrre luce come risposta.

Commenta Mark Mimee, uno degli autori del paper.

Le potenzialità del dispositivo non si fermano alla sola diagnosi dell’ emorragia interna. In futuro potrebbe essere in grado di diagnosticare altri problematiche, come il morbo di Crohn, infezioniforme tumorali dello stomaco e dell’intestino.

Secondo i ricercatori, i sensori potrebbero anche essere progettati per trasportare più ceppi di batteri contemporaneamente, in modo che questi possano lavorare in parallelo, consentendo di diagnosticare una varietà di malattie intestinali e di avere un quadro diagnostico più completo.

 

 

 

Published by
Claudia Svolacchia