Biobatterie: come ottenere energia da liquidi biologici come sudore e saliva
Torniamo a trattare l’argomento dell’energy harvesting. L’enorme progresso in questo campo ci ha infatti portato altre importanti novità. Parliamo di biobatterie, o pile a biocombustibile, nate da due diversi studi, ma che hanno un aspetto in comune: ottenere energia da liquidi biologici. La prima, realizzata dai ricercatori della UC San Diego, è una biopila capace di generare corrente elettrica dal sudore mentre la seconda, proveniente dalla Binghamton University, viene attivata ed alimentata attraverso la saliva.
In precedenza abbiamo visto come poter alimentare i dispositivi impiantabili sfruttando il moto ed il calore del corpo umano e di come un dispositivo indossabile ultra sottile fosse in grado di generare energia elettrica anche dai più lenti movimenti.
Le biobatterie “epidermiche” che si alimentano con il sudore
Iniziamo da quello che risulta essere un grosso passo avanti per l’alimentazione dei dispositivi indossabili. Un team di ingegneri della University of California San Diego, in particolare della Jacobs School of Engineering, ha realizzato una pila a biocombustibile in grado di estrarre energia elettrica dal sudore. L’obiettivo era quello di ottenere un dispositivo abbastanza elastico ed, allo stesso tempo, abbastanza potente. Il risultato è una batteria 10 volte più potente di qualsiasi altra del suo genere. Il suo funzionamento si basa sull’utilizzo di un enzima che ossida l’acido lattico, presente nel sudore umano, per generare corrente.
Per ottenere la necessaria flessibilità ed estensibilità, ad fine di poterla adattare ai dispositivi indossabili, i ricercatori hanno sviluppato una particolare struttura a “ponte e isola“. In sostanza, la pila è costituita da una serie di piccoli elettrodi circolari collegati con una conformazione a molla. Una metà degli elettrodi costituisce l’anodo e l’altra metà il catodo. Le strutture a molla possono successivamente allungarsi e piegarsi, rendendo la batteria flessibile senza deformare l’anodo e il catodo.
La base per gli elettrodi è stata prodotta tramite litografia ed è in oro. Il passo successivo consiste nel procedere con la stampa a strati per depositare strati di enzima.
La sfida più grande era, però, quella di aumentare la densità di energia ottenibile, ovvero la quantità di energia che può essere generata per superficie. A tal proposito, gli ingegneri hanno stampato una struttura a nanotubi di carbonio 3D in cima agli anodi e ai catodi che permette non solo di caricare una maggiore quantità di enzimi all’anodo e di ossido di argento (che costituisce il catodo), ma anche una migliore conduzione elettronica, migliorando così le prestazioni.
I test effettuati, effettuati su quattro soggetti intenti a pedalare su una cyclette, hanno dimostrato come queste biobatterie, collegate ad un apposito circuito, possano alimentare dei LED blu. I ricercatori pensano anche che sia attualmente possibile alimentare delle radio Bluetooth. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Energy & Environmental Science.
Fonte: http://jacobsschool.ucsd.edu/news.
Una pila a combustibile microbiologica attivata dalla saliva
Ci spostiamo adesso sulla costa opposta degli Stati Uniti, precisamente nello Stato di New York, dove i ricercatori della Binghamton University hanno realizzato una nuova pila a combustibile microbiologica (microbial fuel cell, MFC) alimentata proprio dalla saliva. Questa categoria di batterie è caratterizzata dall’imitazione delle interazioni batteriche, che si trovano in natura, per generare corrente elettrica. In questo caso, i batteri presenti sulla saliva attivano le cellule esoelettriche liofilizzate integrate alla pila: è grazie a questo processo che è possibile generare energia. Il funzionamento è riportato sulla rivista Advanced Materials Technologies.
La batteria proposta ha vantaggi competitivi rispetto ad altre soluzioni di alimentazione convenzionali perché il fluido biologico per l’attivazione della batteria è facilmente disponibile anche nelle postazioni con risorse più militate e la tecnologia di essiccazione a freddo consente di conservare a lungo termine le batterie senza degrado o denaturazione.
Affermano i ricercatori.
Queste biobatterie, per quanto ancora debbano essere migliorate dal punto di vista della densità di energia sviluppabile, si presentano come un’importante risorsa nell’ambito del Point of Care Testing (POCT). Proprio come il dispositivo SPED, di cui abbiamo parlato solo pochi giorni fa, anche queste pile sono fatte principalmente di carta e potrebbero alimentare biosensori diagnostici là dove le comuni tecnologie non possono essere utilizzate, come nei paesi in via di sviluppo.
Fonte: https://www.binghamton.edu/news.