“Ecco il mio motto: progresso costante. Se Dio avesse voluto che l’uomo indietreggiasse, gli avrebbe messo un occhio dietro la testa. Noi guardiamo sempre dalla parte dell’aurora, del bocciolo, della nascita”. (Victor Hugo)
Le parole avvincenti di Victor Hugo introducono la percezione che motiva questo articolo. Non tutti sanno, infatti, che nei laboratori di biologia cellulare gli studi sulle cellule sono sempre stati condotti attraverso l’uso di cellule coltivate in 2D, dove con il termine “coltivate” designiamo il processo con cui uno specialista (biologo, medico, biotecnologo, ingegnere biomedico, etc) permette a poche cellule di replicarsi, di vivere nel tempo e di raggiungere un adeguato livello di omeostasi, meglio definito come il “benessere” della cellula. Le colture cellulari 2D, oggi ancora molto utilizzate, consistono nel depositare a mano (con appositi strumenti di deposizione) una certa quantità di cellule all’interno di vetrini circolari (soprannominati “Petri Dish”) a formare una struttura piana del tutto “planare” sul fondo del vetrino. Eppure, le colture cellulari 2D mostrano molteplici falle. Innanzitutto, la parte inferiore delle cellule a contatto con il vetrino può non avere un adeguato scambio (né di contatti cellulari, né di nutrienti, né di segnali chimici) con altre cellule. Inoltre, le colture cellulari 2D si aggregano con molta difficoltà autonomamente in strutture tridimensionali, per cui si ritroverebbero a lavorare contro forza di gravità sempre e comunque a contatto con il vetrino e ciò limiterebbe notevolmente le loro funzioni biologiche naturali. La stampa 3D risolve questi problemi, mutando quello che prima era un “microcosmus” bidimensionale in strutture tridimensionali di cellule che crescono così in un ambiente (a tre dimensioni) molto più conforme a quello reale.
Oggi, i materiali impiegati nella stampa 3D sono prevalentemente di origine plastica, metallica e polimerica. Esiste tuttavia una tecnica innovativa, chiamata Bioprinting, che sostituisce questi elementi con delle cellule umane viventi, come ad esempio cellule staminali o altri composti organici, per riprodurre artificialmente tessuti, vasi sanguigni e organi. Volendone dare una definizione, potremmo equiparare una stampa 3D a un apparecchio in grado di produrre e replicare oggetti fisici mediante tecnica additiva (non è comunque questa la sola tecnica disponibile), partendo da un modello tridimensionale. Si inizia da un deposito di svariati strati di materiale plastico: la stampante 3D lavora partendo da un file digitale, rappresentazione astratta e numerica della realtà sensoriale, e terminando con la stampa in sequenza di uno strato dopo l’altro. Questa tecnica di riproduzione artificiale vanta l’abbattimento dei fattori di rigetto (in quanto il nuovo tessuto, od organo, verrebbe creato appositamente per lo specifico paziente partendo dalle stesse cellule dell’individuo ricevente) ma ha come svantaggio la difficoltà nella vascolarizzazione del tessuto stampato: infatti, senza capillari che portino sostanze nutrienti ed eliminino rifiuti, ogni tessuto è destinato alla morte cellulare.
Un esempio di avanguardia in questo specifico ambito riguarda l’utilizzo di una nota Bioprinter, la Novogen di Organovo, che consta di due ugelli controllati roboticamente, uno per il deposito delle cellule staminali e l’altro per il materiale di sostegno, chiamato Hydrogel. Le tecnologie di stampa 3D usate al momento in ambito bioprinting sono: direct 3D printing, 3D-Bioplotter printing, fused deposition modeling (FDM), selective laser sintering (SLA), stereolitografia (SLA), indirect 3D printing ed electrospinning). Attraverso la Bioprinting è possibile stampare modeste porzioni di muscolatura scheletrica, vasi sanguigni e ossa, fino alla più recente stampa di un mini-fegato delle dimensioni di circa 4 mm, in grado di svolgere le stesse attività di un organo vero e proprio tanto da sintetizzare proteine, colesterolo e metabolizzare alcool.
La letteratura in materia riferisce diversi studi tra cui uno pubblicato da un team di ricercatori che riporta i risultati di un importante contributo sulla rigenerazione ossea tramite la Bioprinting, chiarendo come gli scaffold ossei possano essere ulteriormente migliorati con uno strato composito aggiunto che crea uno strato più favorevole all’attaccamento cellulare e alla semina uniforme. Per creare questi scaffold il team ha utilizzato una tecnica unica di filatura a getto d’aria (AJS), con un ugello specializzato per il sistema di filatura e una superficie per la raccolta di fibre polimeriche e gas compresso, e anche impalcature tubolari stampate in 3D con PLA, con superficie in fibra submicrometrica e rivestimento nella risposta biologica delle cellule osteoblastiche fetali umane (hFOB). “La superficie 3D dello scaffold tubolare stampato mostrava morfologie e strutture distintive analizzate mediante SEM, e la rugosità della superficie degli scaffold tubolari aumentava con l’incorporazione della funzionalizzazione del rivestimento da parte della membrana fibrosa”, ha osservato il team di ricercatori del Messico e della Costa Rica.
Un altro ambito di applicazione della Bioprinting è quello relativo alla rigenerazione di porzioni di epidermide direttamente sulle ferite da ustione: la bio-stampante, in questo caso, è dotata di un particolare scanner a infrarossi in grado di analizzare e riprodurre il modello 3D del tessuto danneggiato, che successivamente viene realizzato dalla stampante. È stato poi comprovato che l’electrical stimulation (ES) induce e migliora la rigenerazione ossea. Combinando questo trattamento con approcci di ingegneria tissutale, è possibile ottenere un innesto osseo sostitutivo con forti proprietà rigenerative evitando l’uso di livelli potenzialmente tossici di fattori di crescita. Il futuro compito di questo settore dell’ingegneria e della medicina è quello, tramite l’utilizzo di nuove tecnologie e materiali, di rigenerare o sostituire tessuti e organi danneggiati o compromessi da patologie, malattie o traumi.
Inedito è il metodo di rigenerazione ossea che ibrida gli approcci ES e dell’ingegneria dei tessuti impiegando una impalcatura nanofibra piezoelettrica biodegradabile PLLA (acido L-lattico) che, insieme all’ecografia controllata esternamente, può generare cariche per favorire la rigenerazione ossea in vitro e indurre la crescita ossea in vivo in un difetto calvarico di dimensioni critiche. Questo tipo d’impalcatura piezoelettrica biodegradabile potrebbe avere un impatto significativo sul campo dell’ingegneria tissutale, offrendo un nuovo stimolatore elettrico biodegradabile senza batteria e controllato a distanza.
La “storia ripete sempre sé stessa”, ci rammenta un noto proverbio. Questo perché, di volta in volta, certe cause e certi fenomeni sembrano ripetersi nel tempo, come se fossimo di fronte a dei cicli. In realtà, c’è la costante dell’uomo e la storia ci dà l’opportunità di conoscere come sia cambiata la vita quotidiana nel corso dei secoli e quali siano state le innovazioni e le scoperte che ci hanno portato ai giorni nostri. E come spesso accade, le innovazioni importanti che riguardano la medicina giungono da discipline completamente diverse dalla medicina stessa. La multidisciplinarietà è un aspetto edificante dell’innovazione in generale.
Articolo a cura di Francesca Maria Iervolino.