L’unione, si sa, fa la forza: a dimostrarlo è la recente ricerca congiunta tra l’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna e la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Lund, in Svezia, grazie alla quale sono emerse importanti conclusioni circa il meccanismo di elaborazione dei segnali degli stimoli sensoriali del tatto da parte del cervello per la percezione del mondo esterno. La ricerca è stata pubblicata su Scientific Reports.
La ricerca è stata supportata grazie al contributo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e dalla Ricerca, del Consiglio delle Ricerche Svedese e della Commissione Europea.
Le informazioni sensoriali sono essenziali per far si che il cervello comprenda il mondo circostante. I recettori sensoriali operano mediante tre importanti funzioni: l’energia che viene assorbita dai recettori costituisce lo stimolo, che può essere di diversa natura, in base al “senso” da percepire. In seguito, si verifica la trasduzione dello stimolo in impulso elettrico, il “linguaggio” del sistema nervoso. In base all’intensità dell’impulso si produce un adeguato potenziale d’azione recettoriale (stimolatorio o inibitorio), innescando così altri potenziali per il trasporto delle informazioni al sistema nervoso centrale (SNC) per l’elaborazione e la comprensione del fenomeno.
La ricerca sui meccanismi di percezione e soprattutto sulla decodifica del tatto ha riscontrato ostacoli nella realizzazione di un modello tempo-invariante per l’attivazione dei sensori cutanei: per ovviare la problematica è stata utilizzata una punta artificiale (un simil dito artificiale) dotata di sensori neuromorfici, dotati di chip che imitano il funzionamento del cervello, implementando la capacità di un dispositivo nel percepire la realtà circostante.
Il “simil dito” è stato utilizzato per riprodurre il senso del tatto in modo artificiale e per la conversione di questi segnali in un diagramma spazio-temporale. Gli impulsi tradotti sono stati poi “inviati” al percorso afferente ( trasporto delle informazioni dall’esterno al SNC) di un ratto grazie ad una serie di elettrodi per la stimolazione.
Le quattro diverse sonde hanno generato quattro diversi stimoli per il polpastrello robotico: l’analisi della risposta a questi stimoli nella corteccia somatosensoriale (sezione della corteccia cerebrale atta all’analisi degli stimoli sensoriali e occupante le Brodmann Areas 1,2 e 3) ha permesso di studiare non solo il modo in cui i neuroni elaborano le informazioni derivanti dalla sistema nervoso periferico, ma soprattutto il modo in cui il mondo esterno viene rappresentato, nel cervello, tramite il tatto.
La rappresentazione avviene sostanzialmente grazie a due fattori: dalla ricchezza del profilo temporale della risposta dei singoli neuroni e dalla eterogeneità dei neuroni stessi che, comunicando tra loro, permettono la completa percezione del mondo esterno grazie all’integrazione delle singole informazioni sensoriali.
“Alcuni neuroni sono, da soli, molto efficaci nel decodificare gli stimoli che abbiamo testato, ma nessun neurone è perfetto” asseriscono il neuroingegnere computazionale dell’Istituto di Biorobotica Scuola Superiore Sant’Anna Alberto Mazzoni ed il collega svedese Anton Spanne “però la loro varietà è tale che le imperfezioni dell’uno sono compensate dall’altro. La combinazione dell’attività dei neuroni consente quindi di identificare gli stimoli in maniera perfetta”.
“Nel futuro prossimo, anche grazie ai risultati dei progetti in collaborazione con Inail, questa conoscenza scientifica sarà incorporata in una nuova generazione di arti robotici sensibili in grado di trasmettere agli amputati i dettagli dell’esperienza sensoriale del tatto. Con i progetti di ricerca sostenuti dalla Regione Toscana i nostri risultati porteranno a miglioramenti anche nei sistemi robotici dotati di capacità sensoriali tattili simili a quelle umane, per svolgere compiti complessi, ad esempio in robot chirurgici, robot di soccorso e robot di servizio e industriali”. Spiega Calogero Oddo, uno dei bioingegneri italiani che ha guidato la ricerca insieme a Silvestro Micera e allo svedese Henrik Jörntell.
Non solo: i risultati di questa ricerca potrebbero essere utilizzati anche nella comprensione di complesse malattie neurologiche, per lo sviluppo di modelli che possano verificare la vera entità di danni neurologici e per stimarne la progressione.