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Boston University: ecco gli “hacker” delle cellule umane

Dna e cellule

Hackerare le cellule, programmarle e farle rispondere a stimoli differenti, proprio come se fossero dei piccoli “computer”. Un connubio perfetto tra il coding e i circa centomila miliardi di mattoni costituenti il nostro corpo umano, dialogando mediante il linguaggio universale della programmazione procedurale.

Già nel 2016, gli ingegneri del Massachusetts Institute of Technology di Boston avevano presentato dei complessi circuiti costituiti da geni ed enzimi per programmare le cellule, proprio come se si trattasse di sensori ambientali. Nello studio sono stati utilizzati i batteri Escherichia coli e realizzati 60 circuiti, di cui 45 perfettamente funzionanti. La ricerca era finalizzata alla “progettazione” di batteri in grado di riconoscere il tumore e produrre delle sostanze in grado di combatterlo. Un’ulteriore applicazione, invece, è rappresentata dalla realizzazione di cellule in grado di fermare la fermentazione, dovuta ad un accumulo di sostanze nocive.

Wilson Wong, ingegnere chimico leader del gruppo di ricerca

Nasce così, lo studio pubblicato su Nature Biotechnology nel marzo 2017, condotto dal gruppo di ricerca della Boston University, che ha programmato cellule umane che obbediscono a 109 differenti set di istruzioni logiche, su 113 circuiti realizzati. Il risultato è sorprendente: il team è il primo ad aver ottenuto una percentuale così elevata di successo, come afferma anche l’ingegnere chimico Wilson Wong, a capo della ricerca

“nella mia esperienza personale nella realizzazione di circuiti genetici, si è fortunati quando essi lavorano per il 25 per cento del tempo.”

BLADE, LO STUDIO DELLA BOSTON UNIVERSITY

Per realizzare i circuiti genetici all’interno di cellule eucariote, i ricercatori della Boston University hanno progettato un framework, ovvero un’architettura di supporto ai circuiti logici, utilizzando vari enzimi della ricombinasi. Essi sono in grado di riconoscere una determinata sequenza di DNA e di ricombinare il materiale genetico tra le diverse molecole, grazie all’applicazione di diverse tecniche di ingegneria genetica.

BLADE, “Boolean Logic and Arithmethic through DNA Excision”, richiede una minima ottimizzazione da parte dell’utente e produce facilmente circuiti con molteplici input e output, aumentando in tal modo, il numero delle possibili unità di trascrizione. Si tratta di sequenze di DNA, che trasportano l’informazione per la generazione di un determinato prodotto genico. Il processo è mediato da serina e tirosina, amminoacidi polari che tagliano il filamento di DNA da trascrivere, per poi ricucirlo in corrispondenza delle estremità.

La tirosina e la serina consentono l’attuazione di porte multi-ingresso AND nelle cellule umane

Sono utilizzate porte logiche, circuiti digitali che effettuano delle semplici operazioni logiche, in base al numero di ingressi. Per esempio, le cellule possono essere programmate mediante porta a singolo ingresso NOT, che effettua una semplice operazione: una volta ricevuto l’input, non eseguire il comando.

Così le cellule rispondono eccellentemente all’input fornito; esse infatti non si illuminano se non contengono anche una proteina fluorescente (GFP), che si accende quando prodotta. Brevemente, solo nel caso in cui la cellula presenti al suo interno gli enzimi della ricombinasi, l’istruzione da eseguire è quella di brillare nel visibile nei colori rosso, blu, verde o nell’infrarosso, corrispondenti ai quattro output.

Circuiti logici per programmare cellule umane
Credit: http://wilsonwonglab.org

Il team infine sostiene la possibilità di creare nuovi circuiti bio-computazionali, ancor più sofisticati e precisi, utilizzando un maggior numero di combinazioni in input, da integrare in BLADE. L’idea dei ricercatori è quella di ingegnerizzare le cellule del sistema immunitario del nostro corpo, in modo da migliorarne la capacità di lotta contro vari tipi di cancro.

Adoperando le tecnologie dell’ingegneria metabolica e dei circuiti genetici, sarà possibile utilizzare BLADE, non solo per cellule renali embrionali e linfoblasti T come compiuto in tale studio, ma anche per neutrofili, linfociti B, cellule NK, fornendo alla medicina uno strumento di debug dei “difetti” delle nostre unità fondamentali, le cellule.