Cancro alla prostata: l’importanza dello screening contro un nemico silente
Ottobre 2021. Testate giornalistiche di tutto il mondo riportano la notizia della morte di James Michael Tyler, noto per aver interpretato uno dei personaggi secondari più amati nella serie cult Friends. L’attore è morto a 59 anni a causa di un cancro alla prostata diagnosticato tre anni prima in fase avanzata. Durante i suoi ultimi anni di vita ha supportato la Prostate Cancer Foundation, una fondazione dedita al finanziamento e alla diffusione della ricerca nel campo, e prestato la sua voce per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dello screening preventivo.
La prevenzione rappresenta per ogni patologia uno strumento fondamentale. Questo vale soprattutto per il cancro prostatico in cui il decorso della malattia risulta pressoché asintomatico sino agli stadi più avanzati. Molte associazioni e centri di ricerca cercano di sensibilizzare al tema e di fornire dati, dal momento che uno dei problemi maggiori è la mancanza di conoscenza della patologia da parte degli uomini stessi.
Cancro alla prostata: di cosa si tratta?
L’adenocarcinoma prostatico è la forma più comune di tumore maligno della prostata e si origina a partire dalle cellule dell’epitelio che la costituiscono. Questa patologia inizia generalmente dalla parte posteriore della ghiandola, che è responsabile di produzione di parte del liquido seminale. Il suo decorso è lento e asintomatico sino a quando la sua estensione è tale da portare sintomi, tra cui un’elevata frequenza urinaria, flusso lento e disuria, cioè dolore in fase di minzione. Negli stadi più avanzati, in cui il carcinoma è ormai diffuso agli organi circostanti, possono essere presenti dolori alle ossa, anemia, forti cali di peso e letargia.
Alla base della patologia ci sono tanti possibili elementi che possono concorrere come fattori di rischio. Primo fra tutti l’età: il cancro alla prostata è la seconda forma tumorale più diffusa tra gli uomini sopra i 65 anni. Gli studi hanno evidenziato come fattore anche l’etnia: gli uomini afro-discendenti sono molto più suscettibili alla malattia, con un 75% di probabilità in più di ammalarsi rispetto a uomini bianchi. Questa scoperta è probabilmente legata ad aspetti genetici che variano in base all’area di provenienza.
Se da una parte alcuni aspetti, come età, familiarità e genetica, non sono direttamente controllabili dall’individuo, altri facilmente manipolabili possono giocare un ruolo fondamentale. Ad esempio lo svolgimento di attività fisica e una dieta equilibrata, che preveda un ridotto consumo di carni rosse e grassi animali, possono ridurre il rischio di sviluppare la malattia o rallentarne il decorso.
Diagnosi e trattamento
Secondo dati del 2018, il cancro prostatico si manifesta con più di 1.200.000 casi nel mondo, con un’età media di diagnosi attorno ai 66 anni. Lo strumento diagnostico principale consiste nella misura dei valori di Antigene Prostatico Specifico (PSA) nel plasma dopo un semplice prelievo di sangue. Il PSA è una glicoproteina normalmente prodotta in piccole quantità dalle cellule del tessuto prostatico. In condizioni normali il suo range è compreso tra 0 e 0.4 ng/mL. Per valori superiori, possibilmente correlati alla patologia, si procede con una biopsia.
Attualmente l’identificazione e la caratterizzazione della patologia risentono anche dei benefici derivanti dall’avanzamento nei metodi di imaging, come risonanza magnetica e imaging funzionale. Essi permettono sia di dare diagnosi più dettagliate ma anche di monitorare il decorso della malattia a seguito di trattamenti. Il lato della cura, a sua volta, beneficia di una comprensione sempre maggiore della genomica e della biologia alla base del cancro. Le conoscenze sempre più approfondite consentono di introdurre terapie ad hoc per il singolo paziente.
Gli avanzamenti nella diagnosi permettono fare stratificazione in base al rischio. Questo permette al clinico di decidere che terapia adottare, tenendo conto anche delle preferenze espresse dal paziente. Esistono anche delle linee guida, stilate da professionisti, che supportano i medici nelle decisioni terapeutiche. In Europa, ad esempio, esiste un comitato di urologi, oncologi, radiologi, geriatri e rappresentanti dei pazienti, che dal 2001 si occupa di pubblicare e aggiornare queste linee guida.
Le opzioni di cura per uomini con una diagnosi di cancro alla prostata sono molteplici e dipendono dalle caratteristiche del paziente, tra cui lo stadio di avanzamento della malattia, il livello di PSA, l’età e le sue condizioni di salute generali. Nelle forme di carcinoma meno aggressive la prassi è la sorveglia attiva: un continuo monitoraggio finché una terapia non diventi necessaria. In fasi della malattia più avanzate, ma localizzate alla sola prostata, le soluzioni principali sono due. Si eseguono interventi di chirurgia, con la rimozione della ghiandola e dei tessuti circostanti, oppure di radioterapia, spesso in combinazione con terapie ormonali che bloccano la produzione di testosterone, in quanto aiuta il tumore a crescere. Nei casi metastatici si ricorre alla chemioterapia.
Screening: il miglior alleato
La lotta contro il cancro prostatico beneficia di una ricerca che sta facendo emergere diverse soluzioni terapeutiche, come nuove terapie ormonali a base di abiraterone ed enzalutamide. Esse possono migliorare la prognosi o costituire un’alternativa per chi mostra resistenza alle cure tradizionali. Dall’altra parte, però, la somministrazione delle cure e lo screening diagnostico, che l’Associazione Urologi Americani (AUA) consiglia con cadenza annuale agli uomini sopra i 50 anni di età, rappresentano ancora dei fattori di complessità.
La diagnosi del carcinoma prostatico risente di una scarsa cultura generale alla prevenzione e della mancanza da parte delle istituzioni di un programma di screening e di cura che sia diffuso, standardizzato ed omogeneo. Il Let’s talk prostate cancer expert group (LTPC), un’iniziativa finanziata dalla società farmaceutica Astellas Pharma Europe, ha reso pubbliche delle analisi in base a cui il cancro alla prostata non riceve una sufficiente attenzione da parte della politica e i pazienti sperimentano forti variazioni nelle cure in base alle aree geografiche di provenienza.
Nonostante nella sola Europa più di 2 milioni di uomini convivano con questa malattia, che rappresenta quindi una sfida a livello clinico di rilievo, essa viene considerata una forma di cancro non ad alta priorità. Non vi è standardizzazione nel fornire un servizio di screening, con una difficoltà ad avere una diagnosi tempestiva, il numero di urologi è spesso insufficiente e non tutti ricevono trattamenti considerati come ottimali. In risposta a questo LTPC ha lanciato un digital atlas, un atlante digitale che fornisce continuamente dati, analisi e informazioni. L’obiettivo è di rendere la popolazione consapevole e di spingere le politiche ad aiutare le persone.