Negli ultimi venti anni la lotta contro il cancro è stata segnata da numerosi eventi significativi. Abbiamo assistito a progressi nella biologia dei tumori, nella lettura di sequenze del genoma umano, nello sviluppo di diagnosi e di cure. Ma il contributo che ha sancito un fondamentale passo in avanti nel trattamento dei tumori è stato il progresso dell’immunoterapia, una procedura che “arma” le nostre difese immunitarie per individuare, riconoscere ed annientare le cellule tumorali. Esiste, in questo ambito, un approccio di ultima generazione definito CAR-T (Chimeric Antigen Receptor T) che si basa sull’ingegnerizzazione genetica dei linfociti T e che si pone l’obiettivo di potenziarli e indurli alla lotta contro i tumori. Come?
Si preleva un campione di sangue del paziente e, da questo campione, si isolano le cellule T, che vengono modificate geneticamente in maniera da esprimere il recettore CAR sulla loro superficie, e, successivamente, vengono reinfuse nel paziente. Il recettore ha il compito di riconoscere uno specifico marcatore, o antigene, sulle cellule tumorali. Se gli scienziati hanno già dimostrato l’efficacia delle cellule CAR-T ed il loro potenziale curativo nei tumori del sangue, come la leucemia ed il linfoma, è altrettanto vero che finora il metodo non ha dimostrato gli stessi risultati nei tumori solidi, come i tumori del seno, del polmone o del fegato. Perché?
Il problema nasce dal fatto che nei tumori solidi le cellule spesso condividono antigeni con cellule sane presenti in altri tessuti. Questo è strettamente legato al rischio di colpire dei bersagli indesiderati e danneggiare i tessuti sani del corpo.
La complessità dei tumori solidi, incluso il microambiente da essi creato, prevede un approccio più elaborato per combatterli. Per questo motivo, il team di scienziati del laboratorio di Wendell Lim, presso l’UCSF Cell Design Initiative ed il Center for Synthetic Immunology, aveva già precedentemente sfruttato l’apprendimento automatico per indagare i database contenenti i dati sulle proteine condivise da cellule sane e cancerose.
Scopo dello studio era quello di cercare combinazioni di proteine che si trovassero solo sulla superficie delle cellule tumorali e che potessero essere utilizzate per bersagliarle in modo specifico.
Nel lavoro di ricerca attuale, invece, una volta collezionati i dati di cui avevano bisogno, gli scienziati hanno sfruttato uno sensore molecolare chiamato synNotch, sviluppato nel laboratorio di Lim nel 2016, per programmare le istruzioni nelle cellule immunitarie. L’intenzione era ancora quella di utilizzare cellule CAR-T, riconoscere gli antigeni sulle cellule tumorali e bersagliarli, ma stavolta le cellule avrebbero individuato una combinazione di antigeni presenti esclusivamente sulle cellule tumorali.
Lim ed il suo team di ricercatori hanno applicato la logica booleana alle combinazioni di antigeni per determinare se potessero significativamente migliorare il modo in cui le cellule T riconoscono i tumori, ignorando i tessuti sani.
Ad esempio, utilizzando i valori booleani AND, OR o NOT, le cellule tumorali potrebbero essere differenziate dal tessuto normale utilizzando i marcatori “A” OR “B” ma NOT “C”, dove “C” è un antigene presente solo nel tessuto sano.
Combinando il mondo dei big data con quello dell’ingegneria cellulare, il team ha quindi usato synNotch per programmare le cellule T, dando loro l’input di uccidere le cellule tumorali renali che esprimono una combinazione unica di antigeni chiamata CD70 e AXL.
Nonostante l’antigene CD70 sia presente anche in cellule immunitarie sane, così come AXL è riscontrabile in cellule polmonari sane, i linfociti T sono stati ingegnerizzati ed indirizzati al bersagliamento delle sole cellule tumorali, risparmiando quelle sane, usando synNotch con porta logica AND.
Un risultato che dimostra ancora una volta il potenziale di questa tecnica è quello ottenuto da un esperimento su alcuni topi, portatori di due tumori simili con diverse combinazioni di antigeni, nei quali sono state iniettate le cellule T ingegnerizzate. Queste hanno efficacemente localizzato il tumore che erano state progettate per rilevare ed hanno eseguito in modo preciso ed affidabile il programma cellulare progettato dagli scienziati.
In conclusione, possiamo dire a tutti gli effetti che questo lavoro si presenta come un vero e proprio “manuale di ingegneria cellulare” che consente di progettare diverse classi di cellule CAR-T terapeutiche con la capacità di riconoscere qualsiasi combinazione di antigeni presenti sulle cellule tumorali e di combatterle, preservando i tessuti sani.
Saranno, dunque, queste cellule ingegnerizzate, la tecnologia che ci consentirà finalmente di poter combattere i tumori, preservando chi ne è affetto da terapie ultra-invasive e debilitanti?
Articolo a cura di Nicole Rinaldi