Arrivano importanti notizie dal mondo della ricerca per la comprensione di uno dei meccanismi che provocano una delle malattie neurodegenerative più invalidanti: la sclerosi laterale amiotrofica (SLA). I ricercatori avrebbero scoperto che la carenza di un enzima nelle cellule può indurre la malattia, alimentando speranza per nuove strategie terapeutiche della SLA. Lo studio condotto dall’Istituto Mario Negri di Milano e dalla Città della Salute di Torino è stato pubblicato il 31 dicembre 2021 sulla prestigiosa rivista scientifica Brain, autorevole riferimento per pubblicazioni in ambito di neurologia clinica e neuroscienze traslazionali.
La sclerosi laterale amiotrofica, nota anche come malattia del motoneurone o malattia di Lou Gehrig, è una malattia neurodegenerativa, ancora senza cura, che provoca la perdita progressiva dei motoneuroni che controllano i muscoli volontari. La perdita dei motoneuroni continua fino a quando non si perde la capacità di mangiare, parlare, muoversi e infine la capacità di respirare. La SLA alla fine provoca paralisi e morte prematura, di solito per insufficienza respiratoria.
Nel 90%-95% dei casi la causa non è nota. Circa il 5-10 % dei casi sono ereditati dai genitori. La diagnosi si basa sull’osservazione di segni e sintomi presentati dal paziente e su alcuni esami diagnostici eseguiti per escludere altre possibili cause. La malattia di solito incomincia intorno all’età di 60 anni e, nei casi ereditati, circa una decina di anni prima. La sopravvivenza media dall’esordio al decesso può variare dai tre ai quattro anni; circa il 10% sopravvive più di 10 anni, mentre il 5 % raggiunge o supera i 20 anni dalla diagnosi.
TDP-43 è una proteina codificata dal gene TARDBP che esercita funzioni vitali in varie fasi del metabolismo dell’RNA, facendo la spola tra il nucleo e il citoplasma. Per farlo, anche i livelli fisiologici di TDP-43 e la corretta localizzazione devono essere strettamente controllati attraverso l’autoregolazione. L’aggregazione e l’errata localizzazione citoplasmatica di TDP-43 sono caratteristiche patologiche della sclerosi laterale amiotrofica (SLA) e dello spettro della demenza frontotemporale (FTD).
La proteinopatia TDP-43 (con proteinopatia si identifica una classe di malattie in cui alcune proteine diventano strutturalmente anormali e quindi interrompono la funzione di cellule, tessuti e organi) è stata osservata nel 97% dei pazienti con SLA e nel 50% dei pazienti con FTD, nel cervello e nel midollo spinale, ma anche nelle cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC). Le mutazioni di TARDBP nei casi di SLA e FTD hanno stabilito un legame diretto tra le anomalie di TDP-43 e la neurodegenerazione. Tuttavia, il meccanismo molecolare mediante il quale gli aggregati di TDP-43 si formano e causano la neurodegenerazione rimane poco compreso.
Studi precedenti, hanno scoperto che l’enzima ciclofillina A, nota anche come peptidil-prolil cis-trans isomerasi A (PPIA), interagisce con TDP-43 e governa alcune delle sue funzioni. Il nuovo studio, condotto su modelli animali e pazienti, ha evidenziato che l’enzima ciclofillina A (PPIA) è fondamentale per il corretto funzionamento di TDP-43. Infatti, l’assenza dell’enzima nel modello animale induce una malattia neurodegenerativa che è simile alla SLA e provoca l’accumulo anomalo della proteina in questione.
Allo studio hanno partecipato 151 pazienti affetti da SLA e 128 soggetti sani di controllo. Inoltre, è stato utilizzato un modello animale per esplorare l’impatto dell’enzima PPIA sulla biologia della proteina TDP-43. Dallo studio sugli umani, è stato riscontrato un basso livello di PPIA nei pazienti con SLA rispetto ai soggetti di controllo. Questo ha permesso di stabilire che la PPIA difettosa è una caratteristica comune dei pazienti con SLA e SLA-FTD e potrebbe innescare la patologia TDP-43, che a sua volta indurrebbe la malattia.
Dall’altra parte, lo studio sul modello animale ha concluso che il deficit di PPIA induce un chiaro fenotipo neuropatologico nel cervello del topo, con una marcata patologia del TDP-43 e altre alterazioni legate all’omeostasi delle proteine e dell’RNA, che peggiorano con l’età.
Pertanto, gli autori dell’articolo hanno concluso che i risultati ottenuti indicano che la PPIA è coinvolta in molteplici percorsi che proteggono il sistema nervoso centrale (SNC) dalla tossicità mediata da una cattiva regolazione di TDP-43. Infatti, una carenza o una disfunzione di PPIA può innescare la proteinopatia TDP-43 che porta alla neurodegenerazione. I topi in cui è stata soppressa l’espressione del gene per PPIA sono utili modelli sperimentali per studiare i meccanismi della proteinopatia TDP-43, con l’obiettivo di sviluppare nuovi approcci terapeutici.
Lo studio è stato coordinato da Valentina Bonetto dell’Istituto Mario Negri con il gruppo di ricerca del Centro Regionale Esperto sulla Sclerosi Laterale Amiotrofica (CRESLA) dell’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino e Dipartimento di Neuroscienze Università di Torino, coordinato dal professor Andrea Calvo. “Abbiamo osservato” spiega Laura Pasetto dell’Istituto Mario Negri, prima autrice del lavoro “che quando PPIA è assente il modello animale sviluppa i sintomi della SLA con demenza frontotemporale, cioè una progressiva disfunzione motoria, disinibizione e alterazioni del comportamento in associazione alla morte dei motoneuroni e alterazioni di TDP-43. “Questi dati sono in accordo” aggiunge Valentina Bonetto “con quanto visto in un gran numero di pazienti affetti da SLA con e senza demenza frontotemporale che mostrano di essere carenti di PPIA”.
“Inoltre, abbiamo identificato un paziente SLA con una rara mutazione nel gene codificante l’enzima PPIA” spiega il professor Calvo “che rende la proteina disfunzionale. Questa mutazione, pur non rappresentando una causa comune di SLA, è importante perché ci dà delle indicazioni su quali possano essere i processi cellulari alterati nei pazienti”.
“La mutazione, le evidenze sui pazienti e quelle sul modello animale vanno tutte verso la stessa direzione, cioè che nella SLA le funzioni protettive dell’enzima PPIA sono deficitarie” conclude Valentina Bonetto “quindi come prospettiva futura abbiamo pensato di sviluppare un approccio terapeutico che miri a ripristinare queste funzioni. Ora dobbiamo tornare in laboratorio e valutare se questa è la strada giusta per fermare l’insorgenza e la progressione della malattia. Se così fosse sarebbe un primo passo importante verso lo sviluppo di una terapia per la SLA”.