Il cervello è un organo la cui straordinaria ed affascinante complessità ha sempre suscitato grande interesse da parte dei ricercatori, incoraggiandoli a svolgere analisi sempre più approfondite in merito al meccanismo di trasmissione dei segnali neuronali.
Secondo la teoria di Hodgkin-Huxley (premio Nobel 1963), la trasmissione dei segnali all’interno dei neuroni avviene attraverso un fenomeno di propagazione noto come potenziale d’azione (AP), che consiste in un forte cambiamento nel potenziale elettrico di membrana. Una volta attivato, il potenziale d’azione si propaga lungo l’assone grazie a un meccanismo di conduzione elettrica.
Alcuni assoni sono rivestiti da una membrana plasmatica con funzioni isolanti detta mielina, interrotta ad intervalli regolari da brevi segmenti di assone non mielinico, detti nodi di Ranvier (NR). Nelle fibre mielinizzate il potenziale d’azione viene attivato nel segmento iniziale degli assoni (AIS) e nei nodi di Ranvier, dove sono concentrati i canali ionici, e “salta” da un nodo all’altro con una frequenza significativamente più alta rispetto agli assoni non mielinizzati. Questo processo è noto come “conduzione saltatoria“.
Nonostante il modello di Hodgkin-Huxley metta in luce come i fenomeni elettrochimici risultino essere predominanti nella generazione e nel trasporto di informazioni, esistono una serie di altri fenomeni biofisici associabili all’attività neuronale.
In particolare le radiazioni elettromagnetiche (EM), nello spettro visibile ed infrarosso, sono sempre più oggetto di indagine per la loro possibile implicazione nelle capacità cognitive più evolute come la coscienza, la volontà e la memoria.
Numerosi studi sperimentali hanno comprovato la possibilità di veicolare informazioni tramite la propagazione di onde elettromagnetiche lungo i processi assonali. Tuttavia, solo una recente ipotesi, avanzata da un gruppo di ricercatori italiani, è stata in grado di individuare la sorgente delle radiazioni.
La ricerca in questione è stata pubblicata su Scientific Reports ed è frutto della collaborazione tra Andrea Zangari, medico dell’Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini, UOC Chirurgia e Urologia Pediatrica di Roma, Davide Micheli, Ingegnere di TIM S.P.A., Wireless Access Engineering Department di Roma, Roberta Galeazzi, ricercatrice di chimica organica presso il Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente dell’Università Politecnica delle Marche, Ancona, e Antonio Tozzi, fisico della UOC Fisica Sanitaria, Azienda USL Toscana Sud Est, Grosseto.
Il modello presentato da questo gruppo multidisciplinare di ricercatori descrive la propagazione delle onde EM lungo gli assoni mielinizzati partendo dall’ipotesi che le correnti dei canali ionici del nodo di Ranvier si comportino come una schiera di nanoantenne in grado di emettere e ricevere onde elettromagnetiche nello spettro del visibile e dell’infrarosso.
Stando a questa ipotesi, i meccanismi elettrochimici ed elettromagnetici non sono in contraddizione, ma risultano essere fenomeni strettamente collegati e derivanti da un’origine comune che risiede nell’attività dei canali ionici.
La simulazione numerica di questo sistema, attuata tramite FEM (Metodo degli Elementi Finiti), ha mostrato che le onde irradiate da ogni singola antenna si combinano e si sovrappongono, interferendo costruttivamente per migliorare la potenza irradiata nella direzione desiderata e interferendo in modo distruttivo per ridurre la potenza irradiata in altre direzioni. In questo modo l’energia si propaga principalmente nella direzione utile, ovvero verso il tratto di assone mielinico, che funge da guida d’onda dielettrica e trasporta la radiazione con lo stesso meccanismo che avviene nelle fibre ottiche. Tale risultato è in pieno accordo con i precedenti studi sulla propagazione dei fotoni lungo gli assoni mielinici e può a sua volta dimostrare il meccanismo di conduzione saltatoria.
Appare evidente come questa forma di trasporto dell’informazione risulti notevolmente superiore in quanto a rapidità ed efficacia rispetto alla propagazione degli impulsi elettrici, pertanto, sebbene gli autori abbiano sottolineato come risulti necessario attuare ulteriori studi sperimentali, le potenziali implicazioni mediche di questa ricerca sono sicuramente rilevanti. Sviluppi futuri potranno infatti apportare un significativo contributo non solo in ambito della terapia di malattie neurodegenerative come la sclerosi multipla, ma anche della bioingegneria del sistema nervoso e dell’intelligenza artificiale.
Articolo a cura di Claudia Svolacchia