Quando colpiti da un’infezione si osserva che negli animali sono riscontrate delle modifiche a livello fisiologico e comportamentale, mirate ad aumentare la loro sopravvivenza. Alcuni dei sintomi più comuni sono la febbre, la mancanza di appetito e la stanchezza, ovvero alcuni di quelli presentati anche dall’uomo in caso di attacco da organismi esterni. Il sistema nervoso centrale ha un ruolo fondamentale in questo, in quanto è responsabile dell’attivazione di queste particolari risposte all’infezione. Tuttavia, i meccanismi alla base di questo processo non erano ancora stati chiariti. Un gruppo di ricercato dell’Università di Harvard è riuscito a trovare le risposte cercate nei cervelli di topi, individuando i neuroni “responsabili” della febbre.
Per lo studio i ricercatori hanno cercato di mimare l’infezione batterica tramite l’iniezione di alcuni agenti pro-infiammatori (LPS) nei topi. I cervelli degli animali sono quindi stati analizzati al fine di individuare le zone attivate nel meccanismo di risposta all’infezione. Per fare ciò è stato monitorato l’aumento dell’espressione della proteina Fos+, che si è visto essere concentrata nelle regioni cerebrali coinvolte nei processi di appetito, metabolismo, termoregolazione, sonno, stress e risposta alla paura. Alcuni di questi neuroni, però, hanno catturato l’attenzione degli studiosi. La loro risposta all’infiammazione è infatti risultata particolarmente marcata. Anche la loro posizione, poi, ha fatto sì che il focus fosse messo proprio su di loro. Questi neuroni, infatti, si trovano in contatto con la barriera ematoencefalica, sito di scambio di segnali tra sangue e cervello.
Per confermare l’ipotesi i ricercatori hanno adottato metodi chemogenetici e optogenetici in grado di stimolare o annullare la loro attività. Nel primo caso, quindi, si è visto che la loro attivazione è in grado di generare febbre anche senza l’effettiva presenza di un’infezione in corso. Nel secondo caso, invece, non è più stato rilevato l’aumento in temperatura in seguito alla somministrazione degli agenti pro-infiammatori.
Abbiamo detto che questi neuroni si trovano in prossimità della barriera ematoencefalica, nell’ipotalamo. Come avviene però la loro attivazione? Il meccanismo è piuttosto semplice: il sistema immunitario risponde all’infezione, rilasciando particolari sostanze nel sangue, che fluisce fino alla barriera ematoencefalica. Qui delle particolari cellule si attivano e secernono citochine e chemochine, responsabili dell’attivazione dei neuroni. Questi ultimi, quindi, sono poi in grado di attivare i processi responsabili dell’aumento della temperatura e, tramite un meccanismo a cascata su un’altra area del cervello, della perdita di appetito. L’encefalo è quindi in un rapporto di stretta comunicazione e collaborazione con il sistema immunitario.
I sintomi di malessere tipici di un’infezione sono messi in atto dal nostro corpo per “aumentare la sopravvivenza”, come negli animali. La febbre, ad esempio, ha il fondamentale ruolo di eliminare gli agenti patogeni che hanno attaccato il nostro organismo. Tuttavia certe volte questa risposta è troppo accentuata ed è quindi un rischio per la salute. Oltre all’eccessivo aumento di temperatura, poi, anche la perdita di appetito può essere a lungo andare molto pericolosa. Basti pensare ai pazienti in chemioterapia, nei quali è spesso riscontrata un’elevata inappetenza. La nuova scoperta potrebbe dunque risultare particolarmente utile in quei casi in cui l’attivazione di questi sintomi diventa talmente elevata da causare seri danni alla salute. Agendo sull’attività di questi neuroni, dunque, sarebbe possibile modulare la loro azione, mitigando ad esempio un eccessivo aumento di temperatura corporea.
È probabile che i neuroni individuati tramite questo studio non siano gli unici coinvolti nei processi di risposta alle infezioni, come sottolineato anche dai ricercatori. Tuttavia già questi risultati permettono di comprendere un meccanismo prima sconosciuto di stretta e reciproca dipendenza tra encefalo e sistema immunitario. Il trattamento della risposta alle infezioni, quindi, deve essere coordinato su due fronti al fine di ottenere buoni risultati.