Un chip impiantato nella mano per pagare
Patrick Paumen, 37 anni, si diverte a guardare le reazioni divertite dei cassieri. Questo perché per pagare non utilizza una normale carta o lo smartphone, ma la sua mano sinistra. Ciò gli è diventato possibile nel 2019, quando si è fatto impiantare un microchip con la tecnologia contactless sottopelle. La procedura, come ha affermato Paumen, non è per niente dolorosa. Paumen però non ha solo quel chip, ma un totale di ben 32. Con questi l’uomo olandese apre porte, attiva altri dispositivi, paga e molto altro.
Pagare con un chip nella mano tramite la tecnologia Contactless
La prima volta che i chip sono stati impiantati nell’uomo eravamo ancora nel secolo scorso. Da lì ci è voluto molto tempo affinché la tecnologia si affermasse e diventasse disponibile anche al mercato, cosa che è accaduta negli ultimi anni. Un’azienda inglese, la Walletmore, è quella che si è affermata per i microchip per il pagamento ed è l’unica che attualmente li offre al mercato.
Il chip pesa meno di un grammo ed è poco più grande di un chicco di riso. Dal punto di vista strutturale è formato dal microchip e da una piccola antenna incastonata in un biopolimero di origine naturale, simile alla plastica. I produttori sono certi della sicurezza della loro tecnologia e affermano che oltre a funzionare subito dopo l’impianto, il microchip rimane nella sua posizione per sempre. Qui, poi, non ha neanche bisogno di essere ricaricato. La tecnologia impiegata è quella del near-field communication (NFC), ovvero identica a quella che sfruttano gli smartphone per i pagamenti contactless. Le vendite sono già arrivate a 500 unità.
Paumen e i suoi 32 chip nella mano non è solo
Paumen si definisce un biohacker, ma anche un cyborg e un transhumanist. Nella sua bio di Twitter dichiara con fierezza di avere 21 impianti RFID (radio-frequency identification, ovvero una tecnologia alternativa a quella NFC) e 11 magneti. Con questi non solo paga, ma apre porte, attiva altri dispositivi o prende oggetti sfruttando i magneti incorporati nella sua mano.
Sul suo profilo si possono trovare aggiornamenti su tutti i suoi microchip e la loro utilità, oltre che i “festeggiamenti” per i nuovi arrivati impiantati per via del tutto mininvasiva e poco dolorosa da dei piercer.
Paumen però non è l’unico a sfruttare questa nuova tecnologia quasi fantascientifica: su Facebook il gruppo “RFID Implantees” conta più di 4000 iscritti. I post sono privati, ma l’obiettivo del gruppo è quello di educare gli interessati a questo sistema alle varie possibilità e metodi di utilizzo dei chip. L’impianto avviene solitamente tramite delle iniezioni o delle piccole incisioni, nella maggior parte dei casi nel sito tra pollice e indice. Il numero di chip è variabile: alcuni ne possiedono solo uno, ma altri, come Paumen, ne hanno più di 20.
Sfide, sviluppi e futuro
I microchip disponibili fino ad ora si basano su tecnologia NFC o RFID. Questo fa sì che ad ora essi possano essere utilizzati solo su breve distanza, ovvero dove l’accoppiamento riesce a funzionare appropriatamente.
Per quanto riguarda invasività e sicurezza, la tecnologia non desta alcuna preoccupazione. Immaginando però che la cosa si sviluppi e diventi sempre più diffusa, diventa cruciale il tema della privacy. Con l’avanzamento e il progresso, infatti, questi chip potrebbero cominciare a raccogliere anche dati personali ed è fondamentale pianificare una strategia per evitarne ogni fuga o tracciamenti impropri. Gli appassionati, comunque, non sono preoccupati: il tracciamento a cui siamo sottoposti a causa dei nostri smartphone è a detta loro molto più pericoloso e “invasivo” dei loro chip leggibili solo da breve distanza.
Altre fonti di preoccupazioni sono date dal possibile invecchiamento della tecnologia, che presumibilmente negli anni potrebbe migliorare e aprire sempre maggiori possibilità. Tuttavia neanche questa eventualità preoccupa gli appassionati, consapevoli che i chip sono progettati al fine di essere compatibili con il corpo anche a lungo termine.
Insomma: per ogni fonte di dubbio e preoccupazione sembra esserci una risposta convincente. E tu ti faresti impiantare un chip nella mano?