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Com’è morto Marco Pantani: Le Iene, la cocaina e il suicidio

Com'è morto Marco Pantani: Le Iene e il suicidio

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Uno dei più forti ciclisti della storia, da molti considerato tra i più forti scalatori di sempre, con grandi doti di fondo e di recupero oltre che di scattista e discesista: ecco chi era Marco Pantani o, come era stato soprannominato dai tifosi “Il Pirata”. Spirito tutto italiano, professionista dal 1992 al 2003, ottenne in tutto 46 vittorie in carriera con i migliori risultati nelle corse a tappe, vincendo la medaglia di bronzo ai mondiali in linea del 1995 e realizzando la cosiddetta “doppietta Giro-Tour” nella stessa annata (1998), risultando l’ultimo ciclista a riuscire nell’impresa.

«Un giorno, al Tour, gli avevo chiesto: «Perché vai così forte in salita?». E lui ci aveva pensato un attimo e aveva risposto, questo non riesco a dimenticarlo: «Per abbreviare la mia agonia».»

Un incredibile talento spezzato da una cattiva sorte, secondo alcuni da una grave ingiustizia subita dal giovane sportivo, il 5 giugno 1999 a Madonna di Campiglio, quando venne escluso in circostanze controverse dal Giro d’Italia 1999 a seguito di un valore di ematocrito al di sopra del consentito, per presunto caso di doping, nonostante l’esame non evidenziasse la presenza di alcuna sostanza dopante nel sangue di Marco.

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Una data che segnò l’inizio del calvario di Marco Pantani, l’inizio della depressione, a causa del clamore mediatico suscitato dalla vicenda che lo dipinse agli occhi del pubblico come un “impostore” e davanti ai tribunali come “colpevole di frode sportiva”, e il conseguente rifugio nella cocaina, che lo portò 5 anni più tardi al triste epilogo, il 14 febbraio 2004 a Rimini, in quella stanza del residence “Le rose”, dove il suo corpo venne ritrovato senza vita. Secondo l’autopsia e la successiva perizia medico-legale del 2015, Marco morì per intossicazione acuta da cocaina e psicofarmaci antidepressivi, con conseguente edema polmonare e cerebrale. In realtà quella di Pantani è la storia di una morte ancora tutta da chiarire, con troppe incongruenze irrisolte e dettagli misteriosi su cui non è stata fatta ancora luce.
A questo proposito andrà in onda, in replica, questa sera alle 21.15 su Italia 1, lo speciale de Le Iene: “Le Iene presentano: com’è morto Marco Pantani”.

5 giugno 1999: la data che segnerà per sempre la carriera di Marco Pantani

Il 5 giugno 1999 segnerà per sempre la storia del ciclismo italiano e probabilmente mondiale, ma soprattutto segnerà in modo irreversibile la carriera sportiva di Marco Pantani.
Qual era il background prima della fatidica data? Pantani aveva dimostrato nelle tappe precedenti del Giro d’Italia le sue eccezionali capacità e alla vigilia dell’ultima tappa sembrava che nessuno ormai potesse sfilargli la vittoria finale: il Pirata era, infatti, primo in classifica con 5’38” sul secondo, Savoldelli, e 6’12” su Gotti. Inoltre, la tappa in questione, con partenza da Madonna di Campiglio e arrivo all’Aprica e scalata del Mortirolo, era in realtà l’ultima realmente in grado di smuovere la classifica e presentava caratteristiche altimetriche a lui congeniali: tutto faceva insomma pensare ad una vittoria quasi certa.

Tuttavia le cose non andarono per il giusto verso, in quanto proprio il 5 giugno a Madonna di Campiglio, alle ore 10:10 locali, quando furono resi pubblici i risultati dei controlli svolti quella stessa mattina sugli atleti di gara, questi evidenziavano nel sangue di Pantani una concentrazione di globuli rossi superiore al valore consentito. In particolare il valore di ematocrito rilevato a Marco Pantani era del 51,8%, di 0,8 superiore al margine di tolleranza dell’1% sul limite massimo consentito dai regolamenti, 50%.

Pantani fu sottoposto anche ad un controllo anti-doping al quale risulto negativo. Nonostante ciò, venne escluso dalla corsa a scopo precauzionale e sospeso per 15 giorni dalla gara: sospensione che causò inevitabilmente l’esclusione dalla tappa finale. L’intervallo di tempo che va da questa data a quella della sua morte nel 2004 è pieno zeppo di verità nascoste, indizi criminali e ipotesi più che probabili. Se nel sangue non era stata evidenziata alcuna sostanza dopante, è possibile che il test abbia riportato un risultato errato o che addirittura sia stato manipolato? Esiste una particolare condizione non patologica per la quale si possa avere un valore di ematocrito maggiore del 50%?

Tali dubbi sono maggiormente avvalorati dalle dichiarazioni di Andrea Agostini, all’epoca portavoce della Mercatone Uno, secondo il quale Pantani effettuò due controlli antidoping il giorno prima e lo stesso pomeriggio del controllo anti-doping a Madonna di Campiglio (quindi parliamo di venerdi 4 giugno 1999 e sabato pomeriggio 5 giugno 1999) presso un centro specializzato di Imola ed entrambi diedero come risultato ematocrito 48 e non 52. Il 2% sotto la soglia consentita. Cerchiamo di fare chiarezza sulla correlazione che esiste tra i concetti di ematocrito e doping del sangue.

Che cos’è l’ematocrito?

L’ematocrito (HCT) è un esame del sangue che indica la percentuale del volume sanguigno occupata dagli eritrociti, o globuli rossi, escludendo le leucocitrine. Il suo valore normale varia dal 37% al 47% per le donne, mentre normalmente per il sesso maschile è più alto (42%-52%). Il valore dell’ ematocrito sale quando il sangue si arricchisce di ossigeno. Per gli sportivi è un esame fondamentale: maggiore concentrazione di ossigeno nel sangue, significa anche più energia per i muscoli. Ecco perché negli atleti si tende, con la preparazione in altura a far salire il valore dell’ematocrito. I livelli di guardia sono 50 per gli uomini e 48 per le donne: superato questo
livello, vuol dire che il sangue è diventato troppo denso e c’è immediatamente il pericolo di andare incontro a una trombosi.

Che cos’è il doping del sangue?

Il doping del sangue è la pratica del doping ottenuta mediante l’aumento di globuli rossi nel sangue con lo scopo di ottenere migliori prestazioni atletiche. Poiché i globuli rossi sono il mezzo con il quale viene apportato ossigeno dai polmoni ai muscoli, una maggiore concentrazione di questi può migliorare la capacità aerobica di un atleta e di conseguenza anche la sua resistenza.

La più frequente sostanza dopante utilizzata è l’eritropoietina sintetica, grazie alla sua capacità di aumentare il numero di eritrociti anche in soggetti sani come gli atleti al fine di aumentare il trasporto di ossigeno ai tessuti, specie a quello muscolare scheletrico e cardiaco, e quindi di migliorare la prestazione sportiva.

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L’eritropoietina è un ormone glicoproteico che viene normalmente prodotto negli esseri umani dai reni e in misura minore dal fegato e dal cervello e che ha come funzione principale la regolazione dell’eritropoiesi ossia la produzione dei globuli rossi da parte del midollo osseo.
L’eritropoietina è stata ottenuta sinteticamente in laboratorio grazie a metodi di ingegneria genetica, alla fine degli anni ottanta del secolo scorso, in seguito all’isolamento del gene che ne regola la produzione per la prima volta nel 1985. L’EPO viene sintetizzata in laboratorio sfruttando la tecnica del DNA ricombinante. Questo metodo permette di estrarre un gene specifico dal DNA di una cellula e di inserirlo in un’altra cellula che produrrà grandi quantità pure della sostanza codificata da quel gene (in questo caso l’epo).

L’EPO è principalmente utilizzata in medicina come farmaco per curare le anemie in pazienti affetti da malattie renali o da malattie del sangue, o per permettere un recupero più veloce dopo la somministrazione di chemioterapia nei pazienti affetti da cancro. Al di fuori delle indicazioni previste nella scheda tecnica, il farmaco è stato impropriamente impiegato come sostanza dopante, specie negli sport di durata per favorire i processi aerobici cellulari e garantire una maggiore resistenza alla fatica, mentre il suo impiego negli sport di potenza è limitato poiché poco efficace nel miglioramento della prestazione.

Ematocrito alto: quali fattori non patologici ne influenzano il valore?

Escludendo cause patologiche, non compatibili con la condizione di atleta in piena attività, esistono diversi fattori che influenzano il valore di ematocrito, facendolo variare da un valore di partenza del 40% fino ad un valore del 60%. In base a dati raccolti in una ricerca sui valori di ematocrito in soggetti sani, i fattori responsabili della variazione significativa del suo valore sono i seguenti:

  • Altitudine: variazione stimata 10% (HCT= 44). La variazione è sensibile solo per un soggiorno di almeno due settimane e ad altitudini almeno di 4.000 m
  • Sudorazioni profuse, diarrea, vomito, iperventilazione: variazione stimata 3% (HCT=45,32). Se i prelievi avvengono almeno 12 ore dal termine della gara, si suppone, però, che l’atleta si sia perfettamente reidratato
  • Prelievo mattutino: variazione stimata 5% (HCT=47,59)
  • Soggiorno in posizione eretta per 18 minuti:variazione stimata 3,7% (HCT= 49,35). Basta effettuare il prelievo in posizione supina.
  • Cambiamento di postura: variazione stimata 13-20%, 16,5% (HCT=57,49)
  • Variabilità biologica intraindividuale: variazione stimata 4.6%, 2,3% (HCT=58,81)
  • Stress psicologico: variazione stimata 1% (HCT=59,40).
  • Altre terapie (Acido folico, B12) : variazione stimata 1% (HCT=59,99). Il dato è corretto, ma ininfluente: l’1% significa lo 0,4, da 40% a 40,4%. Questa è un’informazione che dovrebbe (ma purtroppo non lo è) essere conosciuta a tutti i medici generici che in presenza di ematocrito basso in atleti non sideropenici prescrivono inutilmente acido folico e vitamina B12.
  • Coefficiente medio di variabilità analitica: variazione stimata 2,3% (HCT: 61,37)
  • Anticoagulante, grado di riempimento provetta, conservazione e trasporto, miscelazione del campione, emolisi, altri fattori interferenti :variazione stimata 1% (HCT= 61,98)

Considerare contemporaneamente tutte le varie possibilità potrebbe tuttavia risultare complicato e in alcuni casi deviante. .La posizione più sensata sembra, dunque, quella di ammettere una variazione massima del 15%. Alla luce di questo studio, è evidente che il valore di ematocrito di Marco Pantani di poco superiore al 51% quel giorno a Madonna di Campiglio sarebbe potuto dipendere da fattori non patologici e non attribuibili a doping, visti i controlli negativi anti-doping effettuati.

Marco Pantani: la depressione, la cocaina e il triste epilogo

A prescindere dal presunto errore commesso nell’esecuzione dei test di controllo quel giorno a Madonna di Campiglio, le conseguenze furono devastanti, visto il clamore suscitato nell’opinione pubblica dalla vicenda. Marco fu vittima del giudizio dei tifosi e dell’intero mondo sportivo, oltre ai processi giudiziari in cui fu coinvolto, tra i quali un processo per concorso in frode sportiva intentato nei suoi confronti per fatti risalenti alla Milano-Torino del 1995. Nonostante il suo ritorno in pista, niente fu più lo stesso: l’etichetta del “ciclista dopato” non lo abbandonò mai più. Seguì una profonda depressione e il conseguente rifugio nella cocaina, fino a quel triste giorno di febbraio, quando venne trovato privo di vita nel residence ” Le rose” a Rimini. L’autopsia rivelò che la morte era stata causata, fra le 11:30 e le 12:30, da un edema polmonare e cerebrale, conseguente a un’overdose di cocaina e, secondo una perizia effettuata in seguito, anche da psicofarmaci. Per la giustizia il decesso sarebbe la conseguenza di comportamenti ossessivi di Pantani, che dopo aver esagerato con la droga avrebbe sfasciato tutta la stanza facendosi del male da solo e poi sarebbe morto per un arresto cardiaco causato da un cocktail di cocaina e farmaci. Tuttavia la scena del ritrovamento del cadavere di Marco Pantani, il 14 febbraio 2004, è piena di elementi che sembrano in contraddizione con la versione ufficiale. A questo proposito per fare chiarezza andrà in onda il servizio de Le iene in cui si affrontano in maniera approfondita le testimonianze, le incongruenze e i punti oscuri emersi dalla ricostruzione ufficiale della sua morte. In particolare, si assisterà all’incontro esclusivo tra la mamma del ciclista, la signora Tonina, e Fabio Miradossa, lo spacciatore che riforniva Pantani di cocaina e che a Le Iene ha dichiarato con fermezza:

“Marco è stato ucciso. Non si vuole la verità. Marco è stato ucciso, l’ho conosciuto 5-6 mesi prima che morisse e di certo non mi è sembrata una persona che si voleva uccidere. Era perennemente alla ricerca della verità sui fatti di Madonna di Campiglio, ha sempre detto che non si era dopato. Qualcosa stava facendo per arrivare alla verità, quest’ultima è però una mia convinzione. Marco non è morto per cocaina. Marco è stato ucciso. Magari chi l’ha ucciso non voleva farlo, ma è stato ucciso. Non so perché all’epoca giudici, polizia e carabinieri non siano andati a fondo. Hanno detto che Marco era in preda del delirio per gli stupefacenti, ma io sono convinto che Marco quando è stato ucciso, quando è stato ucciso, era lucido. Marco è stato al Touring, ha consumato lì e quando è ritornato allo Chalet (il Residence Le Rose, ndr.) Marco era lucido”.

Alcune delle principali incongruenze sulla scena di ritrovamento del cadavere di Marco Pantani, che fanno pensare ad un probabile omicidio sono:

  • evidenti segni di trascinamento del cadavere, visibili anche nel video della polizia;
  • il corpo di Pantani è poggiato sul fianco sinistro, la posizione è in parte obliqua e con la parte destra più alta. Se fosse rimasto fermo in questa posizione per molte ore, il polmone maggiormente interessato dal sangue (a causa dell’emorragia) sarebbe stato quello sinistro. In base ai risultati dell’ autopsia invece è stato evidenziato che il polmone destro pesa 200 grammi in più. Anche questo dato porterebbe a pensare che il Pirata sia stato spostato dalla posizione originaria della morte;
  • il caos della stanza che sarebbe stato etichettato come «un disordine ordinato», quasi ad inscenare il suicidio. Tutto è appoggiato per terra e non rotto come farebbe pensare un delirio. Nel bagno c’è uno specchio che sarebbe stato divelto da una persona in preda a un delirio psicotico, ma appoggiato per terra, intatto. Tutto è appoggiato per terra, ma niente di rotto;
  • il mistero della pallina bianca di cocaina comparsa solo in seguito sulla scena del ritrovamento del cadavere di Pantani.

L’ipotesi di complotto: la camorra e le scommesse clandestine

Tre anni dopo la morte di Marco Pantani, nel 2007,il criminale italiano Renato Vallanzasca fece recapitare alla mamma di Pantani, la signora Tonina, una lettere in cui affermava che un suo amico habitué delle scommesse clandestine, gli avesse detto cinque giorni prima della fatidica vicenda di Madonna di Campiglio di scommettere sulla sconfitta di Pantani per la classifica finale, assicurandogli che “il Giro non lo avrebbe vinto sicuramente lui”.  Il 14 marzo 2016  viene diffusa da Premium Sport un’intercettazione di un detenuto vicino ad ambienti legati alle scommesse clandestine, il quale, riferendosi all’episodio di Madonna di Campiglio, ammetterebbe un intervento della Camorra nell’esclusione di Pantani dal Giro d’Italia 1999. Se avesse vinto Pantani,difatti, la camorra avrebbe rischiato la bancarotta per l’ingente numero di scommesse sulla sua vittoria, motivo per cui il sangue del ciclista sarebbe stato deplasmato, grazie ad una manipolazione delle provette. Il giorno successivo Premium Sport rende pubblica una nuova intercettazione, in cui Augusto La Torre, boss di Mondragone, confermerebbe il coinvolgimento della malavita nel caso Pantani, accusando l’alleanza di Secondigliano. Tre giorni più tardi l‘autista di Wim Jeremiasse, responsabile del controllo anti-doping a Madonna di Campiglio, conferma la presenza dell’ispettore nella mattinata del 5 giugno 1999. La testimonianza però non coinciderebbe con quella resa al processo di Trento dai medici che effettuarono il prelievo ematico a Pantani che non menzionano o probabilmente volontariamente omettono la presenza di Jeremiasse. La Procura della Repubblica di Forlì, che indagava sul caso, concluse che “un clan camorristico minacciò un medico per costringerlo ad alterare il test e far risultare Pantani fuori norma“, ma dovette richiedere l’archiviazione delle indagini a causa dell’intervenuta prescrizione dei reati.

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