Partendo da un semplice ed economico ago di vetro chirurgico e da una luce laser, un gruppo di ricercatori, ingegneri e biologi della University of Utah è riuscito ad ottenere immagini ad alta risoluzione all’interno del cervello, in profondità, grazie ad una cannula. Lo studio, pubblicato su Nature Scientific Report, è stato realizzato da un team diretto dal Professor Rajesh Menon in collaborazione con il premio Nobel Mario Cepecchi e l’assistente professore Jason Shepherd.
Questo metodo ha dimostrato di poter funzionare sul cervello di un roditore ed, in attesa di test sull’essere umano, apre le porte a nuove e più accurate indagini su vari disordini neurologici, quali depressione, disturbi ossessivo-compulsivi ed aggressività.
La Computational Cannula Microscopy (CCM), così chiamata dagli stessi ricercatori, consiste in un microscopio a fluorescenza costituito ad un sottile ago di vetro, la cannula, dal diametro di 0.22 mm, che viene utilizzato sia per guidare la sorgente luminosa eccitante all’interno del tessuto cerebrale, che per acquisire il segnale di fluorescenza in uscita. Lo scopo principale della ricerca è stato quello di sviluppare un approccio che combinasse piccole dimensioni, profonda penetrazione e un basso costo, superando i limiti delle precedenti tecniche.Solitamente, i metodi più utilizzati per compiere indagini in profondità nel cervello sono l’estrazione di un campione di tessuto e la successiva analisi al microscopio, oppure la microendoscopia, ovvero l’utilizzo di una sonda ottica miniaturizzata.
Le sue dimensioni però, se pur piccole, rimangono da 10 a 100 volte più grandi di quelle di un ago chirurgico. Entrambe le tecniche risultano molto dannose sia per la qualità dell’imaging che per il tessuto stesso, come afferma lo stesso Professor Rajesh Menon.
Il vantaggio introdotto dalla CCM è la possibilità di acquisire immagini e video ad alta definizione con una ridotta invasività, senza introdurre complessità nel sistema ottico. Come già detto, la cannula, oltre che ad acquisire la fluorescenza, si occupa anche della conduzione della sorgente luminosa, in quella che viene chiamata “epi-illuminazione”; ciò consente, inoltre, di ottenere velocemente immagini di fluorescenza a larga scala, alla frequenza di fotogrammi originaria della fotocamera. Il segnale acquisito, viene successivamente processato da un sofisticato algoritmo, implementato ad hoc, che lo traduce in immagini 2D, o addirittura 3D.
La fase di test è stata realizzata su un campione di tessuto cerebrale di un roditore, registrando le immagini da aree diverse, a differenti profondità: a “soli” 2 mm, è possibile raggiungere importanti strutture come i gangli basali, l’ippocampo o l’ipotalamo, altrimenti difficilmente raggiungibili senza compromissioni dalle altre tecniche.
In questo specifico caso, le cellule dell’animale sono state modificate geneticamente così che solamente specifici gruppi di cellule producessero fluorescenza, quando stimolate dalla sorgente laser.
Il prossimo passo, a detta degli stessi ricercatori, sarà quello di estendere questa tecnica anche ad animali svegli ed, infine, all’uomo.
“Anche se è molto più complesso da un punto di vista normativo, può essere fatto negli esseri umani, e non solo nel cervello, ma anche negli altri organi”
afferma il professor Rajesh Manon.
“Ma adesso il nostro interesse in questo progetto è di guardare dentro il cervello del roditore e sviluppare ulteriormente la tecnica per comprendere i fondamenti della neuroscienza”.