Cresce sempre di più l’interesse verso le interfacce cervello-computer (brain-computer interfaces, BCI), dispositivi potenzialmente rivoluzionari in ambito terapeutico e riabilitativo. Conosciamo tutti Neuralink, l’azienda statunitense di neurotecnologie più famosa e più chiacchierata insieme al suo fondatore, Elon Musk. Un’altra azienda famosa nel campo delle neurotecnologie e neuroprotesi è Kernel, fondata da Bryan Johnson nel 2016.
Oltre ad aziende private che si occupano di sviluppare nuove tecnologie e nuovi protocolli per migliorare le BCI, tante università investono fondi per fare ricerca sull’argomento. Una tra queste è l’Università di Stanford, dove un team di ricerca ha lavorato per anni a una tecnologia che potrebbe portare i pazienti affetti da paralisi a riprendere il controllo dei propri arti. La particolarità di questa nuova tecnologia è che consentirebbe ai pazienti di controllare le protesi usando il pensiero.
Le interfacce cervello-computer sono dispositivi impiantabili sulla superficie del cervello del paziente richiedente. Questo impianto collega il sistema nervoso umano a un dispositivo elettronico in grado di aiutare a ripristinare il controllo motorio in una persona con una lesione del midollo spinale oppure in un paziente con una condizione neurologica come la sclerosi laterale amiotrofica (SLA).
L’attuale generazione di questi dispositivi registra enormi quantità di attività neurale. Questi segnali cerebrali vengono poi trasmessi attraverso dei cavi a un computer. Uno degli obiettivi del settore, però, è rendere questi dispositivi comodi e utilizzabili senza l’intralcio di cavi o macchinari ingombranti. Ecco perché una delle sfide più grandi è avere delle BCI wireless, senza fili. Il problema è che l’energia per trasmettere i dati dal cervello al computer è così elevata che i dispositivi wireless genererebbero troppo calore, diventando poco sicuri per i pazienti.
Il team guidato dagli ingegneri elettrici e neuroscienziati Krishna Shenoy e Boris Murmann e dal neurochirurgo e neuroscienziato Jaimie Henderson, ha dimostrato la possibilità di creare un dispositivo wireless in grado di registrare e trasmettere segnali neurali accurati utilizzando un decimo della potenza richiesta dagli attuali sistemi cablati. Lo studente laureato Nir Even-Chen e il borsista post-dottorato Dante Muratore hanno descritto l’approccio del team in un articolo su Nature Biomedical Engineering. Puoi trovare il link al paper nella sezione “CuE Fact Checking” alla fine dell’articolo.
L’approccio è stato, come nelle migliori collaborazioni, un lavoro di squadra interdisciplinare. I neuroscienziati del team hanno identificato i segnali neurali specifici necessari per controllare un dispositivo protesico, come un braccio robotico o un cursore del computer. Gli ingegneri elettrici hanno poi progettato i circuiti che consentirebbero alle interfacce cervello-computer wireless di elaborare e trasmettere i segnali accuratamente identificati e isolati, utilizzando meno energia e rendendo così sicuro l’impianto del dispositivo sulla superficie del cervello.
Per fare dei test, i ricercatori di Stanford hanno raccolto dati neuronali da tre primati non umani (macachi rhesus) e da un essere umano, partecipante allo studio clinico del progetto BrainGate che si occupa di sviluppare e testare dispositivi medici per ripristinare la comunicazione, la mobilità e l’indipendenza di persone affette da malattie neurologiche, paralisi o perdita degli arti. I ricercatori hanno effettuato le misurazioni sui soggetti mentre questi eseguivano compiti che coinvolgevano il movimento, come posizionare un cursore sullo schermo di un computer. I risultati hanno convalidato la loro ipotesi: un dispositivo wireless è in grado di controllare con precisione il movimento di un individuo registrando un sottoinsieme di segnali cerebrali specifici per l’azione, anziché raccogliere segnali cerebrali in blocco come avviene nei dispositivi cablati.
Il prossimo passo sarà costruire un impianto basato su questo nuovo approccio e procedere attraverso una serie di test verso l’obiettivo finale: realizzare una tecnologia in grado di aiutare le persone con paralisi, malattie neurologiche o amputate a riottenere l’uso degli arti controllando le protesi con il loro pensiero attraverso dispositivi wireless che appaiano più naturali e che offrano ai pazienti una maggiore libertà di movimento.