Sono passati ormai 6 mesi dall’inizio della pandemia da coronavirus e ancora molte informazioni sono sconosciute o non ben definite. Gli scienziati proseguono con le ricerche per tentare di fermare il virus e di capirne la sua natura. I vaccini sono, al momento, al centro dell’opinione pubblica, come anche i farmaci. Le norme per limitare al massimo il contagio ci vengono ripetute continuamente: lavarsi spesso le mani, usare (bene) le mascherine, mantenersi a distanza di sicurezza. Oggi, però, diamo il benvenuto a una nuova eccezionale ricerca, che evidenzia quale strada il coronavirus utilizzi per entrare attraverso gli occhi.
Alcuni ricercatori dell’università di Singapore hanno analizzato 33 tipi di cellule dell’occhio umano, fino a giungere al gruppo di cellule che cercavano, cioè quelle della cornea e della congiuntiva. La congiuntiva è una membrana mucosa, che ricopre il bulbo oculare; la cornea, invece, è una membrana trasparente convessa e rappresenta la lente più potente dell’apparato visivo. In esse è presente un’elevata concentrazione di un recettore che il virus usa per entrare nelle cellule: Ace-2. Quest’ultimo è un enzima di superficie, che si trova sulle membrane cellulari delle cellule dei polmoni, delle arterie, del cuore, dei reni e dell’intestino. Tale scoperta, non solo confermerebbe che il contagio può avvenire attraverso le mucose degli occhi (come le lacrime) ma ci dà anche la possibilità di studiare farmaci basati sull’ inibizione dell’Ace-2, in modo da limitare la penetrazione del coronavirus nel nostro organismo. Il virologo Carlo Perno, dell’ospedale Niguarda di Milano spiega: “Il fatto è che tutto ciò che sta nella congiuntiva può raggiungere velocemente il naso e viceversa per la vicinanza fisiologica tra naso e occhio […] quindi vanno protetti anche gli occhi, con occhiali o visiere, soprattutto quando si è in contesti in cui c’è il rischio di schizzi. I comportamenti di protezione individuali sono fondamentali per evitare il contagio”.
C’è da sottolineare che il recettore Ace-2, in effetti, è presente in grandi quantità soprattutto nei polmoni e nel sistema respiratorio. Ciò, quindi, spiegherebbe perché il coronavirus, nei casi più gravi, induca polmonite nel paziente.
La ricerca, sebbene non sia ancora passata al vaglio della comunità scientifica, è stata realizzata grazie ad uno studio effettuato su 10 pazienti morti (non per coronavirus). Dai pazienti defunti il team di ricercatori ha prelevato la cornea per procedere alla sperimentazione.
[bquote by=”Team di ricercatori” other=””]Particolarmente notevole è l’espressione di Ace2 sull’epitelio corneale e congiuntivale più superficiale, il sito di maggiore esposizione[/bquote]
Gli studi effettuati in passato sul recettore Ace-2 danno, però risultati contrastanti. Sebbene la maggior parte di essi confermi la tesi dei ricercatori di Singapore, non possono essere sottovalutate le ricerche avvenute precedentemente. Una ricerca del 2005, resa nota da Nature, effettuata su altri tipi di coronavirus, evidenziava come i recettori Ace-2, iniettati nei topi, li tutelassero. In questo specifico esperimento risultò che l’Ace-2 proteggeva le cavie dalla sindrome acuta da distress respiratorio o ARDS. E quindi la presenza di questo enzima tutelava i polmoni e l’apparato respiratorio. Mentre altri studi sul recettore Ace-2 evidenziano che, in alcuni casi, l’inibizione dell’Ace-2 ha favorito l’infiammazione.
Ad ogni modo, come anticipato, la veridicità dello studio relativo all’Ace-2 come via di trasmissione del coronavirus negli occhi, dovrà essere confermata dalla comunità scientifica.
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