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Il COVID determina alterazioni cerebrali simili a quelle di malattie neurodegenerative

Un nuovo studio è stato pubblicato pochi giorni fa su una prestigiosa rivista scientifica. Lo studio ha indagato le alterazioni a livello del cervello in 8 pazienti deceduti per COVID-19 e li ha confrontati con quanto si poteva osservare in altri soggetti, deceduti per altre cause, tra cui uno deceduto per influenza (quindi un’altra malattia virale che ha sintomi in parte sovrapponibili a quelli del COVID-19).

I ricercatori hanno in pratica estratto (da cadavere) alcuni pezzetti di cervello della corteccia frontale, una zona coinvolta in processi cognitivi importanti. Oltre a quelli prelevati da questa zona della corteccia, i ricercatori hanno estratto anche campioni da alcune zone particolari del cervello, chiamate “plessi corioidei” che sono coinvolti in quella che è la cosiddetta barriera ematoencefalica, ovvero una sorta di filtro che discrimina quali molecole possono accedere al sistema nervoso, attraverso il sangue, e quali devono rimanere fuori dal sistema nervoso.

Gli autori dell’articolo hanno studiato più di 65000 cellule estraendo da queste le informazioni sul profilo di espressione genica, ovvero ricomponendo una sorta di mappa che indicava quali geni fossero espressi in queste cellule. I pazienti erano tutti di età compresa tra 55 e 91 anni. Per quasi tutti i pazienti morti di COVID o di influenza, la causa del decesso era (come atteso) la polmonite interstiziale dopo circa 2 settimane di ventilazione meccanica.

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Credits: nature.com

Nel cervello dei pazienti deceduti per COVID si osservava un aumento o attivazione delle cellule responsabili per la risposta infiammatoria e immunitaria (ad es. nel riquadro c si può vedere l’aumento dei linfociti T, un tipo molto importante di cellule del sistema immunitario, mentre nel riquadro g si vede, su un preparato istologico, un aumento dell’attivazione della microglia, un tipo di cellule “spazzino” del cervello).

Covid-19: infiammazione senza infezione

Il primo risultato importante ha permesso di identificare che le cellule che compongono, appunto, questa barriera mostravano una eccessiva attivazione di geni la cui funzione è implicata nei meccanismi di infiammazione. Un secondo risultato, forse in parte inatteso, è arrivato quando i ricercatori hanno cercato, con varie tecniche, la presenza del virus (SARS-CoV-2) nel cervello, senza però trovarne traccia. Qui viene il punto chiave, perché da studi precedenti è noto che i plessi corioidei (che costituiscono una parte importante di questa barriera) sono in grado di percepire la presenza di uno stato infiammatorio nell’organismo (perché sono a contatto con il sangue) e riescono a trasmettere questa informazione all’interno del cervello, attivando anche in questa sede una risposta infiammatoria.

Gli studiosi hanno quindi voluto capire se anche per il COVID potesse valere questo meccanismo, suggerito anche dall’assenza di tracce del virus a livello del cervello. I risultati hanno dimostrato che nella barriera ematoencefalica di questi pazienti erano attivi i geni che hanno la funzione di stimolare una risposta infiammatoria all’interno del cervello. Quindi ricapitolando, il virus infetta l’organismo, anche se l’infezione è confinata alla periferia (ovvero non interessa il sistema nervoso centrale), l’infiammazione provocata a livello della barriera ematoencefalica viene per così dire “trasmessa” dalla barriera stessa alle cellule del cervello, scatenando quindi una risposta infiammatoria cerebrale pur in assenza di un attacco del virus al cervello stesso.

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Similitudini con malattie neurodegenerative

Ulteriori analisi hanno mostrato la presenza quindi di cellule infiammatorie e del sistema immunitario all’interno del cervello dei pazienti deceduti per COVID. Poi con altre analisi i ricercatori hanno voluto indagare se questa infiammazione era in grado di alterare la trasmissione delle informazioni tra i neuroni e hanno osservato, in effetti, lo spegnimento di alcuni geni che sono implicati nel funzionamento delle sinapsi, ovvero le strutture microscopiche grazie alle quali due neuroni entrano in contatto tra di loro per comunicare.

Un dato molto importante, è che gli studiosi hanno anche trovato che le alterazioni di alcune cellule del sistema nervoso, collettivamente conosciute come glia e che fanno da supporto ai neuroni, ricapitolavano le alterazioni osservate in molte malattie croniche neurodegenerative del cervello (come l’Alzheimer). Sembra quindi che l’infiammazione scatenata dall’infezione da coronavirus nell’organismo sia in grado di scatenare a sua volta, indirettamente, una risposta infiammatoria cerebrale con possibili conseguenze sul cervello stesso e quindi sulle funzioni cognitive.

A cura di Angelo Molinaro.