Tra le svariati sperimentazioni di farmaci e vaccini, nel tentativo di trovare soluzioni effettive e definitive contro il coronavirus, qualche tempo fa è emerso sulla rivista Lancet che un farmaco, l’idrossiclorochina funzionava nel 75% dei casi. Eravamo così convinti del potenziale dell’idrossiclorochina che a marzo, in Italia, l’AIFA (Agenzia italiana del farmaco) aveva dato l’ok per il trattamento di pazienti affetti da coronavirus. Sottolineando, però, che non era da intendersi come profilassi. Non solo in Italia, ma anche nel resto del mondo l’idrossiclorochina sembrava rappresentare una vera e propria luce in fondo al tunnel. Il governatore di New York, Andrew Cuomo, aveva comprato 800 mila dosi per far partire ulteriori sperimentazioni e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, su suggerimento dei suoi medici, utilizzò l’idrossiclorochina per un trattamento in via preventiva, durata qualche settimana. Purtroppo, però, la stessa rivista Lancet ha ritrattato lo studio. In particolare, tre autori su quattro hanno dichiarato: “Non possiamo più garantire la veridicità delle fonti“, ritirando, così, lo studio. Il quarto studioso, Sapan Desai, direttore esecutivo della società americana Surgisphere, invece, si è dissociato dalla scelta dei suoi colleghi.
L’idrossiclorochina nasce come farmaco anti-malaria e oggi è utilizzato efficacemente anche contro artirite reumatoide e lupus eritematoso sistemico (malattia cronica autoimmune). Nel 1955 gli Stati Uniti la approvarono per uso medico, rientrando oggi nei farmaci essenziali dell’OMS (Organizzazione mondiale della Sanità). L’idrossiclorochina presenta numerosi effetti collaterali comuni: vomito, mal di testa, debolezza muscolare e alterazioni della vista. A causa della somministrazione del suddetto farmaco, in alcuni pazienti affetti da covid, sono stati registrati casi di cardiotossicità. All’inizio della ricerca sull’idrossiclorochina, molti medici ne hanno prescritto l’utilizzo, perché nelle prime 48-72 ore si registrava la remissione della febbre nell’85-90% dei casi. Per il momento, però, l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato di sospendere temporaneamente gli esperimenti clinici sull’uso della idrossiclorochina in corso con i suoi partner in diversi Paesi, a scopo precauzionale.
I tre ricercatori Mandeep Mehra del Brigham and Women’s Hospital di Boston, Frank Ruschitzka dello University Hospital di Zurigo e Amit Patel della University of Utah si sono scusati pubblicamente. Avevano accettato di collaborare con la società Surgisphere, però non gli era mai stato concesso di accedere ai dati grezzi e quindi erano impossibilitati a verificare personalmente i dati e a convalidare le fonti dell’articolo sull’idrossiclorochina. A seguito della pubblicazione dello studio, erano state numerose le perplessità sull’efficacia del farmaco. Juan Chen, uno studioso cinese che ne aveva analizzato i risultati, aveva dichiarato che, sebbene risultassero interessanti, “l’idrossiclorochina non è un farmaco magico e non si è mai dimostrata efficace in nessuna malattia virale, nonostante la sua attività antivirale in vitro”. Invece, l’infettivologo francese Didier Raoult aveva reputato lo studio alquanto confuso, nonostante lo stesso infettivologo sia uno dei pionieri dell’uso dell’idrossiclorochina. Più tardi, anche il direttore dell’AIFA, Nicola Magrini ha espresso il suo scetticismo a riguardo: “Sull’efficacia sappiamo poco, sui possibili danni e assenza di sicurezza in alcuni limitati sottogruppi di pazienti siamo abbastanza sicuri”. Ma non finisce qui. Quasi 150 medici hanno firmato una lettera per chiedere a a Lancet di rendere pubblici i commenti fatti durante la fase di revisione, precedente alla pubblicazione della ricerca.