Medici, studiosi e biologi stanno intraprendendo diverse strade per tentare di fermare la pandemia di coronavirus. Tra i farmaci che al momento risultano essere più efficaci troviamo l’ ivermectin, che sembra dare risultati eccezionali già dopo 24 ore dalla sua somministrazione. La sperimentazione dei vari vaccini non si ferma e, tra le diverse proposte, c’è il PittCoVacc. Questo vaccino si distingue dagli altri sia per il tipo di somministrazione, cioè tramite cerotto, sia per come nasce in laboratorio. A differenza della classica procedura basata sull’mRNA, il team del PittCoVacc sta elaborando il vaccino partendo da frammenti di proteina del virus.
Oltre alle possibili soluzioni appena citate, l’ospedale San Matteo di Pavia sta procedendo con la plasma terapia. Un tipo di cura adottato in Cina, durante il picco dell’epidemia, che aveva dato buoni risultati.
La plasma terapia si fonda sull’iniezione di plasma nei pazienti. Il plasma è un componente del sangue, costituito al 92% da acqua, la restante parte sono proteine e sali minerali. La separazione del plasma dal sangue, avviene attraverso un separatore cellulare. Il prelievo di sangue si esegue nei pazienti che hanno contratto il coronavirus e che sono, poi, guariti. Questo tipo di trattamento non è nuovo nell’ambito medico. Fu già sperimentato per la Sars del 2003, per la pandemia influenzale H1N1 del 2009, per la Mers del 2012 e per l’Ebola. Le esperienze precedenti hanno dato buoni risultati, ma resta da verificare se sia valida anche per il covid-19 e tutte le sue mutazioni, quindi si rendono necessari ulteriori studi clinici. Come anticipato, in Cina la plasma terapia diede buoni risultati, sebbene i medici sottoposero solo 5 pazienti al trattamento.
I pazienti, in seguito alla guarigione sviluppano anticorpi, che risiedono proprio nel plasma. Una volta guariti dal coronavirus, i volontari per la donazione del sangue devono effettuare il test due volte in 24 ore ed entrambe le volte deve risultare negativo. Prima di procedere alla trasfusione nel paziente affetto da coronavirus, il campione di plasma del donatore viene esaminato per verificare che contenga anticorpi (detti neutralizzanti). In laboratorio valutano anche la quantità di anticorpi presenti nel plasma. Tali considerazioni servono a capire se gli anticorpi siano in grado di annientare il virus.
I primi due volontari per la donazione di plasma sono stati due medici del nord Italia, che hanno contratto il virus all’inizio della pandemia e sono poi guariti. Fortunatamente, in seguito all’appello del direttore del Servizio di immunoematologia dell’ospedale San Matteo di Pavia, Cesare Perotti, diverse persone, una volta guarite, sono tornate in ospedale per donare.
Il vantaggio della plasma terapia è l‘assenza di effetti collaterali. Inoltre, può affiancare altre cure in corso, senza interferire con le stesse. Gli unici rischi sono quelli legati ad un’ordinaria trasfusione di sangue, che esistono in una minima percentuale. Neanche i donatori sono a rischio: globuli bianchi, rossi e piastrine sono ri-trasfusi nel donatore e in un paio di settimane la condizione plasmatica si ristabilizza.
Il farmacologo Garattini sottolinea un ulteriore aspetto vantaggioso: “Quindi chi ha presenza di anticorpi avrebbe la possibilità di essere rimesso in circolazione e in attività perché è guarito, ha sviluppato le difese e non può contagiare né essere contagiato”.
I medici devono adottare la plasma terapia ad un preciso stadio dell’infezione, ovvero quando il paziente giunge ad avere problemi respiratori, ma non è ancora intubato. Una volta che il virus raggiunge le vie respiratorie non c’è tempo da perdere, poiché il covid-19 in molti casi peggiora le condizioni del paziente nel giro di poche ore.