COVID-19, la pandemia ha cambiato il modo in cui i bambini pensano? I primi risultati dicono di sì
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Bambine con mascherina (Pexels foto) - www.biomedicalcue.it
L’influenza del periodo pandemico si è rivelata determinante sui soggetti più piccoli. Ecco come sono cambiate le loro capacità cognitive e il loro modo di ragionare
Un team di ricerca dell’UC Merced, in California, ha preso in esame dei dati riferenti a bambini compresi tra i 3 anni e mezzo e i 5 anni e mezzo, già sottoposti ad una serie di test prima del periodo pandemico, poi proseguiti anche nel post lockdown. In merito agli stessi, è emerso come le abilità cognitive fondamentali dei bambini esaminati presentassero delle consistenti lacune.
Rose Scott, psicologa dello sviluppo, si è detta stupita nell’aver assistito a questo ‘notevole calo di prestazioni‘. La ricerca è stata poi pubblicata attraverso l’autorevole rivista Scientific Reports, esponendo i risultati finali prodotti dai test.
I bambini sono stati sottoposti allo stimolo di un’abilità di cognizione sociale, nota come comprensione della falsa credenza, che svolge un ruolo importante nell’apprendimento e nella cooperazione sociale, in quanto permette di distinguere l’effettiva realtà da ciò che viene prodotto dalla mente dei bambini.
La stessa Scott ha affermato di quanto le ricerche attualmente concluse si attestino sulla medesima posizione, ovverosia che la capacità di falsa credenza si sviluppi nel corso dei primi cinque anni di esperienze e di vita del soggetto; se questo non avviene, o almeno non nella maniera più completa e adeguata, c’è la possibilità che il bambino sviluppi difficoltà nelle relazioni sociali o nel compimento dei propri obiettivi.
In cosa consistevano gli esami?
Il test ha previsto la divisione dei bambini in più gruppi, il primo dei quali costituito da 94 soggetti, che si sono trovati dinnanzi a differenti compiti di falsa credenza. Tra questi, uno includeva l’osservazione di un burattino che inseriva un giocattolo all’interno di un contenitore; sopraggiungeva, poi, un altro burattino che spostava lo stesso gioco in un secondo contenitore. A questo punto al bambino veniva posto un preciso quesito, dove il primo burattino sarebbe andato alla ricerca del giocattolo? Si prevedeva che, nel caso in cui la capacità di falsa credenza del bambino fosse opportunamente sviluppata, questo avrebbe indicato che il burattino avrebbe scelto il primo contenitore, pur sapendo che, a seguito dell’intervento del secondo burattino, il giocattolo era stato spostato.
Nel compito che la psicologa Rose Scott ha sottoposto ai bambini, i risultati emersi ci indicano come l’80% circa dei bambini di età pari a 5 anni inseriti nel gruppo ‘pre-lockdown’ sia stato in grado di superarlo agevolmente, tasso che ha subito una decrescita consistente, arrivando al 63% nel gruppo ‘post-lockdown’. Il discorso varia ancora se ci occupiamo del gruppo post-lockdown di bambini di 5 anni che provengono da famiglie contraddistinte da un livello socioeconomico non particolarmente elevato; soltanto il 51% dei soggetti coinvolti è stato in grado di superarlo.
![Gruppo di persone](https://www.biomedicalcue.it/wp-content/uploads/2025/02/Persone-con-mascherine-Pexels-biomedicalcue.it_.jpg)
E’ possibile dare una spiegazione ai risultati ottenuti?
In particolare, il gruppo ‘pre-lockdown’ fa riferimento ai bambini che hanno svolto il test tra l’agosto 2019 e il marzo 2020, prima della svolta drastica rappresentata dalla diffusione della pandemia a livello mondiale; il gruppo ‘post-lockdown’ ha riguardato, invece, soggetti messi alla prova a partire da settembre 2021. Periodo analogo anche per i bambini provenienti da famiglie con stato socioeconomico basso. Come già espresso grazie alle percentuali forniteci da Rose Scott, il gruppo ‘post-pandemia’ e i soggetti facenti parte di famiglie con disagi reddituali, hanno mostrato capacità cognitive estremamente al ribasso rispetto allo svolgimento del test precedente alla diffusione globale del Covid-19 e lo stesso ha riguardato tutti quei bambini che, pur provenendo da famiglie con un livello socioeconomico maggiore, hanno svolto il test a lockdown già avvenuto.
Non è stato possibile individuare i motivi affidandosi ad una ‘scienza esatta’, eppure una possibilità è stata azzardata proprio dalla Scott. Per quanto concerne soprattutto le famiglie con basso reddito economico, è probabile che il periodo pandemico abbia contribuito ad accrescere la pressione finanziaria nei confronti di queste persone a tal punto che la comunicazione con i propri figli sia finita quasi in secondo piano, costringendo gli stessi a trascorrere molto più tempo dinnanzi a televisori, tablet e smartphone, più di quanto la limitazione nella frequentazione di asili, scuole e aree di gioco non avesse già comportato.