Sembrerebbe di natura genetica la causa che induce una maggiore predisposizione ad anosmia, perdita dell’olfatto. Questo è quello che emerge dallo studio di ricerca dell’Albert Einstein College of Medicine in collaborazione con l’azienda ‘’23andMe’’, che ha permesso di identificare il meccanismo alla base di questo fenomeno.
Lo studio di ricerca condotto su 70.000 pazienti risultati positivi al virus Sars-Cov-2 ha infatti identificato in due geni la causa della perdita dell’olfatto. Il locus genetico interessato sarebbe quello relativo ai geni UGT2A1 e UGT2A2, a cui risulterebbe associato un aumento del 11% nella possibilità di perdita dell’olfatto e gusto in seguito ad infezione da Covid-19.
UGT2A1 e UGT2A2 sono due geni della famiglia delle uridina-difosfato-glicosiltransferasi, enzimi che metabolizzano i substrati lipofili. Entrambi i geni forniscono delle informazioni fondamentali per la sintesi di molecole specifiche localizzate nel tessuto olfattivo coinvolte, da quello che emerge da alcuni studi su animali modello, nell’eliminazione degli odori che penetrando nella cavità nasale si legano ai propri recettori.
Dai dati raccolti da alcuni studi sperimentali la perdita dell’olfatto sarebbe dunque associata ad un danno nel tessuto olfattivo e nello specifico alle ciglia e non ad un infezione dei neuroni olfattivi come si era precedentemente ipotizzato.
È possibile dunque che il virus Sars-Cov-2, infettando l’individuo, si accumuli nelle cellule del Sertoli, cellule di supporto impiegate nella trasduzione del segnale odorizzante. Tale accumulo interferisce con il meccanismo di trasduzione, determinando un processo di deterioramento della cellula.
La variante identificata in questo studio sembra anche essere associata alla capacità generale dell’olfatto, il che potrebbe suggerire che coloro che hanno una maggiore sensibilità all’olfatto o al gusto possano essere più inclini a soffrire una perdita di questi sensi derivante da un’infezione da Sars-Cov-2
Adam Auton
Nella coorte di pazienti analizzati, è stato inoltre individuato un tasso di variabilità nella perdita dell’olfatto a seconda di sesso, età ed etnia.
È stato visto infatti che:
I ricercatori dello studio hanno però dichiarato che il lavoro presentava diversi limiti, nello specifico:
Da quest’ultimo dato è quindi impossibile effettuare una discriminazione tra i due sintomi.
La perdita dell’olfatto, insieme alla perdita del gusto, è uno dei sintomi più diffusi e persistenti dell’infezione da SARS-CoV-2. Per questa ragione, sono stati condotti dei lavori di ricerca per determinare per quanto tempo questa perdita avrebbe debilitato il paziente.
Tale lavoro di ricerca, pubblicato sul Journal of the American Medical Association, è stato portato avanti da un team che ha coinvolto i ricercatori delle università di Padova e Trieste, dell’AULSS2 di Treviso, del Centro di riferimento oncologico di Aviano e del King’s College di Londra. Lo studio si è focalizzato su una coorte di 202 pazienti adulti, testati con tampone molecolare nel mese di marzo, positivi all’infezione e moderatamente sintomatici. Tra i 202 pazienti, 113 manifestavano perdita dell’olfatto (anosmia) e del gusto (ageusia).
I pazienti furono seguiti, dall’inizio delle prime manifestazioni, per un mese circa e di questi, il 90% ha ricominciato a sentire odori e sapori dopo circa 4 settimane. Quindi solo una piccola minoranza pari al dieci per cento ha riscontrato la perdita dell’olfatto dopo le 4 settimane dalle prime manifestazioni. Il meccanismo alla base è tuttavia ancora sotto analisi, al fine di comprendere a pieno ogni step di tale processo.