Il Covid-19 è ormai parte integrante delle nostre vite da quasi tre anni. Durante questo periodo, numerose ricerche sono state condotte per comprendere meglio la sua diffusione e le sue origini. In particolare, il progetto Origin ha scoperto un interessante collegamento tra la forma rara della malattia e i geni di Neanderthal. In questo articolo, esamineremo questa importante ricerca e il suo significato per la comunità scientifica.
La ricerca nota come Genome-Wide Association Study (GWAS) si è posta l’obiettivo di analizzare le variazioni genetiche potenzialmente associate allo sviluppo di forme gravi di Covid-19. Un totale di 9.733 pazienti, residenti nella provincia di Bergamo, ha partecipato a un questionario, il quale ha raccolto informazioni sulla loro storia clinica e familiare, con un’attenzione particolare rivolta al virus Sars-CoV-2.
Da questo campione di esaminati, sono stati estratti 1.195 partecipanti, suddivisi equamente in tre gruppi omogenei in base a fattori di rischio e altre variabili quali età, genere ed esposizione al rischio. Alla fine, sono emersi tre gruppi distinti: quelli che hanno sviluppato una forma grave della malattia, quelli asintomatici o con sintomi lievi, e quelli che non hanno mai contratto il virus.
Dopo il reclutamento dei pazienti, ciascuno di loro ha partecipato a una visita individuale durante la quale è stato prelevato un campione di DNA. Successivamente, tutto il materiale genetico raccolto è stato sottoposto ad analisi tramite un DNA microarray, una tecnologia avanzata in grado di leggere e analizzare varie porzioni del codice genetico per individuare eventuali mutazioni.
I risultati di questa ricerca sono stati resi pubblici attraverso un articolo scientifico pubblicato sulla rivista iScience e sono stati presentati in occasione di un convegno ospitato dal Presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, insieme ai ricercatori dell’Istituto Mario Negri di Milano.
Ogni partecipante era caratterizzato da circa 9 milioni di varianti genetiche, e si è scoperto che la suscettibilità alla forma grave di Covid-19 era correlata alla presenza dei geni di Neanderthal. In particolare, alcuni di questi pazienti portavano l’aplotipo di Neanderthal, aumentando così il loro rischio di sviluppare forme gravi della malattia, come polmonite o la necessità di terapia intensiva.
I geni di Neanderthal identificati sono tre dei sei presenti nella regione del cromosoma 3, noti come CCR9, CXCR6 e LZTFL1. I primi due geni sono responsabili dell’attivazione dei globuli bianchi e possono causare infiammazioni durante le infezioni, mentre il terzo regola lo sviluppo e la funzione delle cellule epiteliali delle vie respiratorie, influenzando così la risposta alle infezioni.
Circa un milione di individui che presentavano l’aplotipo di interesse nei tre geni in questione sono stati identificati come coloro ai quali è stata diagnosticata la forma grave di Covid-19. È probabile che, anche in assenza di altri fattori causali, la loro predisposizione genetica avrebbe comportato esiti fatali.
Conoscere il proprio quadro genetico e riconoscere la predisposizione a specifiche varianti genetiche, come un aplotipo (una combinazione di varianti alleliche ereditate insieme), fornisce una visione completa della propria salute clinica. Questo non solo consente un intervento tempestivo, ma anche una migliore comprensione delle misure preventive per le forme gravi di malattie, come il Covid-19.
L’utilizzo delle moderne tecnologie, come il DNA microarray, rappresenta un modo efficiente e rapido per analizzare il profilo genetico di un campione biologico, offrendo risultati ottimali e consentendo una completa analisi genetica con un unico esperimento.
Per quanto riguarda lo sviluppo futuro, si cercherà di determinare se le stesse varianti genetiche sono presenti in altre persone affette da forme gravi di malattie, analizzando ulteriori mutazioni e il loro impatto sulla manifestazione delle forme rare della malattia, al fine di implementare strategie preventive più efficaci.