Un team di ricercatori della Tufts University ha realizzato modelli 3D di rete neurale umana. Oltre ad imitare la morfologia e la funzionalità del cervello umano, hanno anche dimostrato di poter sostenere l’attività neurale per diversi mesi. Modelli del genere potrebbero rappresentare una preziosa risorsa nello studio di malattie come l’Alzheimer o il morbo di Parkinson, permettendo un monitoraggio della progressione della malattia, delle interazioni cellulari e della risposta ad eventuali trattamenti.
In passato abbiamo già visto come fosse stato possibile far crescere una rete neurale su un chip, con l’ambizioso obiettivo di arrivare a realizzare neuro-protesi per aiutare il cervello nel recupero da incidenti, ictus o malattie neurologiche degenerative.
La possibilità di ottenere modelli 3D, rispetto alle cellule in coltura in due dimensioni, significa avere maggiore fedeltà in termini di morfologia e di espressione di recettori e neurotrasmettitori. Il principale limite superato, però, è scarsa disponibilità di neuroni di origine umana. Soltanto raramente, infatti, vengono prelevati campioni di tessuto cerebrale da soggetti sani e, nella maggior parte dei casi, il prelievo viene effettuato su soggetti malati post-mortem. In questo caso, invece, i neuroni sono stati ottenuti da cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC). Queste sono cellule riprogrammate che sono generate a partire da cellule somatiche adulte del paziente, come ad esempio quelle epiteliali.
I neuroni così ottenuti, vanno poi a popolare una matrice 3D costituita da proteine della seta e collagene. La porosità di una matrice così fatta consente una corretta ossigenazione ed un sufficiente apporto di nutrimenti per il sostentamento delle cellule.
La crescita delle reti neuronali è sostenuta e molto coerente nei modelli di tessuto 3D, sia che usiamo cellule di individui sani o di pazienti con l’Alzheimer o il morbo di Parkinson. Questo ci fornisce una piattaforma affidabile per studiare le diverse condizioni di malattia e la capacità di osservare ciò che accade alle cellule a lungo termine.
Afferma William Cantley, autore principale dello studio.
Il prossimo passo sarà quello di aggiungere altri tipi di cellule, come quelle della microglia e le cellule endoteliali, per creare un modello più completo che permetta lo studio di interazioni sempre più complesse.
I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista ACS Biomaterials Science & Engineering.