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Disabilità. Paolo Badano: vi presento Genny

Genny, Paolo Badano

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A parlare è Paolo Badano, 46 anni di Savona, geometra, un passato da elettricista e Genny è un’idea che ha avuto dopo un incidente in moto, nel’95.

Quel giorno, con la rottura di una vertebra per lui, che ha perso la mamma da bambino, l’ennesimo cambiamento. E’ iniziata una nuova vita.

“Da seduto – precisa – e non da handicappato o disabile. Da quel momento sono stato in grado di tornare a vivere. Difficile crederlo, ,ma è sempre e solo una questione di punti di vista. Ci sono stati mesi terribili, è vero, dopo la disavventura. Come per tanti, una malattia, un lutto improvviso, la perdita di un lavoro: aspetti della vita che fanno soffrire e nessuno si augurerebbe mai di provare. Ma non siamo noi, purtroppo, a dare le carte in questa vita. Io ho ricevuto quello che ho ricevuto, e come conseguenza ho cercato la cosa apparentemente più difficile da trovare: un lato positivo. Col tempo e con l’aiuto dei miei amici è cresciuto in me il desiderio di riprovare. Volevo una seconda volta. Ma non su una sedia a rotelle tradizionale. No, proprio no. Del resto, tante cose seduto su una carrozzella tradizionale non le puoi fare. E io non volevo aspettare, né accontentarmi. Ho cominciato a pensare, studiare ad un mezzo che permettesse di soddisfare meglio le esigenze di un paraplegico. Quando sei su una sedia a rotelle non puoi fare una passeggiata mano nella mano con qualcuno, né tenere in braccio un bambino, devi scordarti di poter fare una corsa sulla spiaggia o la spesa, devi guardare di continuo cosa sta a terra. Cose banali per chi sta in piedi. Così è nata Genny, che non deve essere spinta, né con le mani, né da altri. Si tratta di un sistema autobilanciante e di stabilizzazione, basato su una rete di sensori elettrici, che si muove con il busto di chi lo utilizza. Come fa il Segway con cui Genny ha recentemente stretto un accordo. Poi ho fondato la Genny Mobility, l’azienda che la produce e commercializza”.

Per questo progetto Paolo lavora spesso con le Università. Di recente ha tenuto una lezione agli studenti della Facoltà di Psicologia di Padova.

Dunque, non ti sei arreso.
Per essere precisi non mi sono arreso all’utilizzo della tradizionale sedia a rotelle, e nel 2009 la mia attenzione è stata letteralmente rapita dal Segway PT, il mezzo elettrico auto-bilanciante, dotato di due sole ruote, ideato dall’americano Dean Kamen. Poiché Segway impone la posizione eretta da parte di chi lo utilizza, ho pensato di rendere fruibile questa tecnologia anche per il popolo dei seduti. E’ nato così il progetto Genny, oltre al suo prototipo. Genny oggi è il lato positivo di cui parlavo prima. E’ quello per cui inizio ad essere riconosciuto e, soprattutto, capito. A sostenermi c’è stata una holding di private equity, che l’anno scorso ha sottoscritto un aumento di capitale per la nostra azienda e ci ha permesso di fare un salto di qualità soprattutto nella ricerca e nello sviluppo. Sai per un imprenditore è difficile capire quando avviene la svolta, quando un progetto è veramente realizzato. Sono andato avanti nella speranza che qualcosa di rivoluzionario nascesse. Forse ci sto riuscendo. Se guardo indietro mi accorgo di aver fatto davvero tanta strada, partendo dal mio garage. Due anni di duro lavoro. Ma sin da quando ero piccolo, grazie a mio padre, la mia filosofia è sempre stata una: Se cerchi una mano, la puoi trovare in fondo al tuo braccio.

Perché un nome come Genny?
Beh (sorride), non posso svelarvi la ragione di questa scelta. Comunque, ho puntato su un nome femminile per differenziare questo prodotto dagli altri anonimi, studiati per i disabili.

Come funziona?

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Genny si muove su due ruote e non su quattro, ha un’autonomia di 25/30 chilometri, circa 8 ore, può fare salite e discese su qualsiasi terreno. Non ha né freno né acceleratore, segue in modo direi intuitivo il movimento del corpo e lascia le mani libere per poter fare tutto quello che vuoi senza bisogno di fermarti.

C’è chi attende gli esoscheletri.
La ricerca ingegneristica e la stampa ci dicono che l’esoscheletro come la tuta Iron Man per paraplegici è quasi realtà, ma ancora per molti anni non raggiungerà le prestazioni desiderate. Restituire la capacità di camminare a chi è sulla sedia a rotelle sembra l’unica strada  per risolvere i problemi di chi ha perso l’utilizzo delle gambe. Per molto tempo dopo il mio incidente ho creduto anch’io che tornare a camminare fosse l’unico desiderio possibile per il ‘popolo dei seduti’. Ho atteso quasi vent’anni prima di rendermi conto che probabilmente avrei dovuto attenderne altrettanti per vedere una soluzione concreta, efficace e accessibile a tutti. E nel frattempo? Tornare alla posizione eretta è davvero l’unica strada per sentirsi integrati, felici ed autonomi? A un certo punto ho smesso di illudermi e ho scelto un’altra strada: migliorare la mia mobilità nell’immediato grazie a tecnologie già presenti e consolidate. Si può essere felici anche così. Io lo sono.

Il tuo più grande sogno?
Rivoluzionare con la tecnologia un mondo fermo da duecento anni, mandando in pensione la sedia a rotelle manuale.