Uno studio clinico presso l’UC Davis Health e altri sei siti ha mostrato che una terapia cellulare offre risultati molto promettenti per pazienti con distrofia muscolare di Duchenne (DMD) in stadio avanzato, una rara malattia genetica che causa perdita muscolare e menomazioni fisiche nei giovani. Si tratta del primo trattamento che porta a miglioramenti funzionali significativi nei casi più gravi di pazienti con DMD. I risultati di questa ricerca sono stati recentemente pubblicati sulla rivista The Lancet.
La distrofia muscolare di Duchenne è una malattia genetica , che colpisce i principali muscoli deputati al movimento, tra cui quelli di arti inferiori e superiori. Tale malattia è causata in primo luogo da una mutazione gene codificante per la distrofina, situata sul cromosoma sessuale X. La mutazione di tale gene provoca la totale assenza della distrofina , fondamentale per il corretto funzionamento dei muscoli. La malattia si manifesta nei primi anni di vita, costringendo il paziente su una sedia a rotelle. Altri problemi che possono insorgere in età adulta sono invece di carattere cardiaco e respiratorio che, degenerando, portano al prematuro decesso dei pazienti affetti da DMD.
La terapia prevede un’infusione all’interno delle arterie coronarie, di cellule stromali cardiache allogeniche (dette CDCs), la cui formulazione clinica prende il nome di CAP-1002. I ricercatori hanno già effettuato studi preclinici arrivando fino al secondo trial clinico, denominato HOPE-2. Quest’ultimo, si differenzia dal primo trial clinico (HOPE-1), poiché le infusioni effettuate sono più d’una, per un totale di 12, nell’ arco temporale di due anni. Inoltre, tra i soggetti interessati vi sono anche pazienti non deambulanti, ovvero ad uno stadio della malattia già sviluppato. Questo è fondamentale per capire se infusioni multiple possano garantire una migliore efficacia ed una sicurezza a lungo termine.
Parimenti è stato creato un gruppo di controllo, al quale è stato somministrato un placebo, ovviamente privo delle cellule stromali cardiache. Il confronto tra i due gruppi ha potuto far luce sui possibili benefici del trattamento.
Le CDCs, Cardiosphere-derived cells, sono cellule staminali provenienti dal miocardio di donatori o di pazienti stessi. Dopo essere state estratte ed isolate, vengono somministrate ai pazienti malati, mediante iniezione intramiocardica o infusione intracoronarica. Solitamente, l’utilizzo di tali cellule è fondamentale per la cura dei pazienti con cuore infartuato (la cui perdita di funzionalità è irreversibile), perché sono in grado di rigenerare il tessuto miocardico, grazie ad un meccanismo endogeno. Quest’ultimo consiste in una combinazione di un’ attivazione della proliferazione nativa dei cardiomiociti ed un reclutamento di cellule progenitrici endogene.
Nel caso in esame, i CDCs esercitano un’azione immuno-modulatoria, antifibrotica e rigenerativa nei confronti della distrofia, attraverso un meccanismo che prevede la secrezione di vescicole extracellulari (chiamate esosomi). Questi sono i responsabili di alterazioni alle espressioni del profilo di alcuni macrofagi, inducendo loro ad adottare un fenotipo curativo, rispetto ad uno pro-infiammatorio. Inoltre, sono in grado di riprogrammare i fibroblasti (cellule indifferenziate del tessuto connettivo), rendendoli antifibrotici.
I risultati osservati sono relativi a tre apparati: muscolo-scheletrico, cardiaco e respiratorio. Per l’apparato muscolo-scheletrico, i ricercatori si sono concentrati sui benefici riscontrati per i soli arti superiori, utilizzando la scala PUL (Performance Upper Limb), che racchiude in sé le azioni compiute da soggetti affetti da DMD, e i relativi punteggi ottenuti, in base al grado di realizzazione dell’azione stessa. E’ apparso evidente come in 12 mesi di terapia, i risultati siano statisticamente significativi dal punto di vista clinico.
Per le valutazioni di eventuali miglioramenti nella struttura e nella funzionalità cardiaca, sono stati impiegati metodi di imaging, come MRI. In particolare è stato esaminato un parametro: la frazione di eiezione del ventricolo sinistra (LVEF), che è una misura globale per l’analisi della funzione pompante del cuore. A seguito del trattamento con CAP-1002 il risultato è un significativo miglioramento. Non tanto significativi si sono rivelati, invece, i risultati relativi all’apparato respiratorio, sia durante che dopo il trattamento.
Gli scienziati si dicono soddisfatti finora per i risultati ottenuti, premettendo che la seguente terapia è l’unica che, ad oggi , abbia dato riscontri positivi, seppur lievi. E’ necessario , dunque , continuare a eseguire ulteriori studi che possano confermare la sicurezza e la durabilità del trattamento, anche dopo 12 mesi.