L’eco-ansia è un disturbo definito dalla psicologia come una paura cronica della rovina ambientale. Si tratta di un disturbo non ancora inserito nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-5), il manuale di riferimento per le patologie della psiche. Attualmente è ritenuta un’aggravante in grado di peggiorare disturbi già esistenti (ad esempio ansia e depressione). Nei prossimi anni, con l’aumentare in frequenza ed intensità degli eventi climatici avversi e delle loro gravi conseguenze, potrà assumere una rilevanza psicologica sociale anche maggiore.
L’eco-ansia ha due dimensioni principali: la preoccupazione di una catastrofe naturale imminente – alla quale si aggiunge il timore di sopravvivere – e una sensazione generale d’ansia causata delle condizioni socio-ambientali del nostro pianeta.
A doversi preoccupare sarebbero soprattutto i giovani della cosiddetta generazione Z, i nati tra il 1995 e il 2010, ovvero proprio le prime e seconde linee della lotta al surriscaldamento globale.
Secondo un’indagine pubblicata da “The Lancet. Planetary Health”, tre quarti degli intervistati tra 10mila giovani di età compresa tra 16 e 25 anni di dieci Paesi del Nord e del Sud del Mondo considerano il futuro “spaventoso”. Il 50% di loro si dichiara triste, ansioso, arrabbiato, impotente, persino colpevole della crisi climatica. Il cambiamento climatico viene considerato tra le potenziali cause di numerosi sintomi gravi e comportamenti autodistruttivi. Basti pensare che, secondo quanto si legge in diversi articoli scientifici, alla crisi climatica sarebbero connessi:
Secondo un sondaggio italiano pubblicato da Swg, Istituto di Ricerca con sede a Trieste, i cambiamenti climatici sono in cima alle preoccupazioni del 64% dei giovani italiani. Come dichiarato dal coordinatore dello studio: “In questo momento, le generazioni più a rischio sono quelle che vanno dai 10 ai 30 anni. Sono quelle che rischiano di più, proprio perché questi cambiamenti vanno a colpire individui ancora non perfettamente maturi”.
In generale, l’impatto psicologico di qualsiasi forma di disastro supera di 40:1 i danni fisici e dal 2000 la frequenza dei cambiamenti climatici e dei disastri meteorologici correlati è aumentata del 46%. Catastrofi naturali improvvise che determinano morti umane e animali, perdita di risorse, interruzione del supporto sociale e delle reti sociali, migrazioni forzate, possono determinare la comparsa di alterazioni psicopatologiche di varia entità fino al disturbo da stress post-traumatico (PTSD), la depressione, l’ansia generalizzata, l’aumento del rischio suicidario e del consumo di sostanze .
Si può dunque ipotizzare che in futuro, quando la frequenza di eventi climatici estremi aumenterà ulteriormente a causa del surriscaldamento globale, aumenteranno anche le conseguenze sulla salute mentale.
La nostra zona geografica sta iniziando solo recentemente ad entrare in contatto con gli effetti diretti del cambiamento climatico tramite incendi, ondate di calore o alluvioni, ma ancora è troppo presto per valutarne l’impatto psicologico diretto. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima un aumento di 250.000 morti in eccesso all’anno tra il 2030 e il 2050 a causa dell’impatto del cambiamento climatico.
A causa del cambiamento climatico siamo esposti a una serie di alterazioni fisiologiche e psicologiche non indifferenti. Si alterano i ritmi circadiani, che sono alla base della nostra vita. Uno è il ritmo sonno-veglia, l’altro è il ritmo dell’attività quotidiana, e il terzo è il ritmo del riposo, inteso come non fare o non agire. Un altro problema grave incide sulla capacità del sistema nervoso centrale e periferico di adattarsi, di rispondere a una novità. Infatti, ogni volta che si presenta una situazione nuova entriamo in una condizione di allerta e in base a questa condizione di allerta, abbiamo più capacità di soluzione. Se la soluzione non arriva, quell’allerta si trasforma in stress, ovvero in ansia.
L’eco ansia non ci assale solo per la paura di un pericolo percepito ma anche nel momento in cui entra in gioco il senso di colpa o la sensazione di impotenza per il mancato controllo sulla natura.
Secondo gli esperti di eco-psicologia il modo migliore per combattere l’eco-ansia è il ricongiungimento con la natura. Ma chi ha la possibilità di agire è fortunato: chi è colpito direttamente dalle conseguenze del cambiamento climatico, come le catastrofi naturali, non ne ha nemmeno il tempo. Per le comunità indigene, la perdita della casa a causa degli effetti del cambiamento climatico può significare anche la perdita di tradizioni, pratiche culturali e identitarie.
“In Alaska, per esempio, alcuni indigeni hanno visto i propri villaggi letteralmente scomparire a causa del permafrost ed altri si troveranno nel prossimo futuro ad affrontare un processo simile”, scrive l’APA nel report del 2017.
A seguito di disastri naturali come l’uragano Katrina del 2005, il 49% della popolazione ha sviluppato disturbi d’ansia legati al senso di perdita della propria casa. Questo fenomeno ha un nome, si chiama solastalgia.
Il tema è oggetto di dibattito. Se partiamo dal presupposto che questo tipo di ansia è innescata da una minaccia reale, essa può essere intesa come un fenomeno fisiologico che ha pertanto una valenza evoluzionistica e protettiva che non deve essere curata bensì favorita. Dall’altra parte dobbiamo anche contare che uno stato di attivazione continuo accompagnato da un senso di impotenza e catastrofismo possano ripercuotersi sulla salute mentale a lungo termine.
Gli aspetti da favorire sono le condotte pro-ambientali, la partecipazione in attività ecologiche autonome o promosse da associazioni, l’impegno nella divulgazione di informazioni atta ad aumentare la consapevolezza collettiva ed infine la partecipazione a gruppi, che può aiutare a trovare persone con cui condividere le preoccupazioni climatiche.
Dall’altra parte gli operatori psicologici dovranno gestire le preoccupazioni quando esse diventano eccessivamente invalidanti, incoraggiando la distrazione su altri argomenti, rassicurando, cercando di distogliere il pensiero della persona dalle immagini catastrofiche, facendola concentrare su ciò che di bello la natura ancora riesce ad offrire e stimolando il contatto con essa.
Riconoscere il riscaldamento globale come una minaccia reale significa anche riconoscere un cambiamento nelle dinamiche di potere tra l’uomo e il mondo naturale. Dobbiamo mettere in conto che i nostri paesaggi, i nostri ambienti naturali e urbani potrebbero essere irrevocabilmente modificati dalle alterazioni climatiche causate dall’azione antropica.