In cerca di una soluzione alla carenza di sangue destinato alle trasfusioni, i ricercatori dell’Istituto di Medicina Trasfusionale di Beijing hanno sviluppato un promettente sostituito del sangue utilizzando una forma di emoglobina chimicamente modificata, cioè un’emoglobina artificiale.
La trasfusione consiste nel trasferimento per via endovenosa di una quantità di sangue da un soggetto donatore ad un soggetto ricevente. Questa procedura viene utilizzata nella pratica clinica in alcuni specifici casi: reintegrazione del sangue perso in seguito ad emorragie, trattamento di patologie che causano anemia (come le talassemie) e correzione dei disturbi della coagulazione.
Il sangue utilizzato per le trasfusioni nella maggioranza dei casi proviene da una persona differente rispetto al paziente. In questo caso si parla di trasfusioni omologhe, in cui è fondamentale stabilire la compatibilità tra donatore e ricevente per evitare gravi conseguenze. Tuttavia, esiste anche la possibilità di effettuare trasfusioni autologhe o autotrasfusioni, in cui donatore e ricevente sono la stessa persona. Ovviamente in questo caso è necessario procedere al prelievo di sangue prima della sua necessità (ad esempio prima di sottoporsi ad un intervento chirurgico programmato).
Con le trasfusioni è possibile somministrare il sangue intero, i singoli emocomponenti e/o gli emoderivati, in base alle necessità del paziente. Gli emocomponenti comprendono: emazie concentrate, concentrati piastrinici, concentrati granulocitari e plasma fresco concentrato. Essi sono ottenuti frazionando il sangue con mezzi fisici o con aferesi (tecnica che consente di prelevare selettivamente una sola componente cellulare).
Per quanto riguarda gli emoderivati, essi comprendono: albumina (utilizzato per pazienti con grandi deficit proteici, oppure in seguito ad ustioni), immunoglobuline (che vengon utilizzate per la ricerca di anticorpi specifici o quando è in corso una malattia infettiva) e concentrati dei fattori della coagulazione. Essi si ottengono mediante frazionamento industriale del plasma e possono essere utilizzati come farmaci plasmaderivati per trattare patologie come l’emofilia di tipo A e B, immunodeficienze primarie, malattie emorragiche.
Comunque, in linea generale, oggi si tende a limitare le trasfusioni di sangue intero ai soli casi in cui è indispensabile, utilizzando più frequentemente gli emocomponenti. In questo modo è possibile risparmiare sangue che può essere utilizzato per più pazienti.
Ad oggi l’unica fonte di sangue per le trasfusioni deriva da donatori volontari, i quali si sottopongono al prelievo presso un centro trasfusionale nazionale autorizzato. La trasfusione di sangue rappresenta una procedura clinica estremamente delicata e a cui viene dedicata la massima attenzione in termini di qualità e sicurezza per evitare gravi conseguenze.
I globuli rossi sono le componenti del sangue più comunemente trasfuse. Queste cellule sono uniche: non possiedono il nucleo né organelli cellulari e sono caratterizzati dalla presenza di emoglobina. L’emoglobina è una proteina costituita da quattro subunità (nell’adulto rappresentate da due subunità alfa e due subunità beta), che possiede un gruppo eme con al centro un atomo di ferro. Il ferro a sua volta è in grado di legare l’ossigeno e, grazie a questa struttura, l’emoglobina è in grado di trasportare l’ossigeno dal sangue ai tessuti.
Molti scienziati hanno provato a sviluppare un composto che potesse essere un analogo dell’emoglobina mediante l’utilizzo di modificazioni chimiche. Purtroppo questi composti hanno mostrato una tossicità intrinseca che si manifesta con la formazione di metaemoglobina, che, a differenza dell’emoglobina, non è in grado di legare e trasportare l’ossigeno dal sangue ai tessuti. Inoltre, la sintesi di metaemoglobina porta alla generazione di perossido di idrogeno (o acqua ossigenata), che causa danno cellulare. Partendo da queste evidenze, i ricercatori del nuovo studio hanno impacchettato l’emoglobina con un rivestimento benigno che ha permesso di evitare episodi di tossicità.
I ricercatori hanno sviluppato un metodo “one-step” per avvolgere le nanoparticelle di emoglobina derivanti da bovini con la polidopamina (PDA), sostanza già largamente studiata per applicazioni biomediche. I risultati mostrano che l’emoglobina rivestita da PDA trasporta ossigeno in maniera efficiente, previene la formazione di metaemoglobina e di conseguenza la produzione di perossido di idrogeno.
L’emoglobina così modificata ha mostrato essere un efficace antiossidante, evitando quindi danni potenziali causati da radicali liberi e specie reattive dell’ossigeno. Inoltre è stata testata la compatibilità di questa emoglobina con il sangue, confermata dall’evidenza che non induce aggregazione piastrinica. Per definire la sicurezza e l’efficacia di questo composto chimico, sono state condotte analisi sia su cellule di origine animale (ratto, bovino) che di origine umana.
Lo studio, al momento condotto unicamente in vitro, ha mostrato che l’emoglobina rivestita da polidopamina (PDA) rappresenta un trasportatore efficiente di ossigeno, inoltre essa mantiene la funzione scavenger o “spazzino” per quanto riguarda i radicali liberi (come ad esempio il perossido di idrogeno), sostanze in grado di causare danni irreversibili alle cellule.
I risultati, seppur promettenti e sicuramente interessanti, sono stati ottenuti unicamente da test in vitro e sono caratterizzati da alcuni limiti. Infatti, i test in vitro, sicuramente utili per testare la sicurezza di un composto e la sua efficacia, bypassano la complessità di un organismo e delle interazioni biologiche, non permettendo quindi di valutare parametri biologici a livello sistemico.