Nel 1990 nasce un progetto rivoluzionario: il Progetto Genoma Umano, un lavoro che ha coinvolto scienziati di tutto il mondo. L’obiettivo del progetto era quello di studiare e investigare a fondo il genoma dell’uomo, mappando ognuno dei suoi geni. Da allora, è radicato il concetto che il genoma è “stabile e resistente”. Un mondo del tutto diverso e ancora non completamente esplorato, invece, è quello dell’epigenetica. Questa disciplina studia un’importante relazione, quella tra genoma e ambiente (e tutte le variazione che ne derivano).
Il concetto di epigenetica (dal greco ἐπί, epì, «sopra» e γεννητικός, gennitikòs, “relativo all’eredità familiare”) nasce nel 1942 dal biologo Conrad Waddington, che la definisce come la branca della biologia che studia le interazioni causali fra i geni e i loro prodotti che determinano il fenotipo. Queste modifiche, a differenza delle mutazioni, non alterano la sequenza nucleotidica ma influenzano fortemente l’espressione fenotipica.
Le modifiche epigenetiche sono a carico del DNA (la metilazione sui residui di citosina determina una repressione trascrizionale e quindi silenziamento genico) o a carico degli istoni (proteine cariche positivamente che si legano al DNA carico negativamente, possono subire eventi di metilazione/demetilazione, acetilazione/deacetilazione, fosforilazione/defosforilazione). Le modifiche a carico degli istoni e/o delle singole basi azotate, seppur minime, possono avere delle grandi ripercussioni nell’espressione genica.
La professoressa Sarah Robertson, del Research Institute dell’Università di Adelaide in America, ha studiato a fondo l’impatto dell’epigenetica sulla vita dell’uomo, affermando:
“Molte cose che facciamo prima del concepimento hanno un impatto sullo sviluppo futuro del bambino: dall’età dei genitori, alla cattiva alimentazione, all’obesità, al fumo e a molti altri fattori; tutti fattori che influenzano i segnali ambientali trasmessi l’embrione”.
Normalmente, si reputa che la storia di un bambino cominci il giorno della sua nascita, ma in realtà in virtù dell’epigenetica il bambino porta con sé già un’eredità di esperienze dei genitori che possono modellarlo dallo sviluppo del feto fin dopo la nascita.
La professoressa Robertson ha inaugurato una nuova prospettiva, che indica come un bambino non riceve solo un’eredità genetica, ma molto di più. Dopotutto, se l’epigenetica modifica l’espressione genica senza alterare la sequenza del DNA, alla fecondazione (momento in cui avviene l’unione dei gameti maschili e femminili) il feto riceve i due corredi genetici dei genitori accompagnati da tutte quelle informazioni epigenomiche non contenute nella sequenza di acido nucleico.
Se fino ad oggi sui libri di scuola si studiava come il nostro aspetto (colore dei capelli e degli occhi, statura, forma del viso e carnagione della pelle) è il risultato dell’eredità genetica dei genitori, l’epigenetica allarga questa visione. È stato più volte messo in evidenza come le scelte alimentari, lo stile di vita e l’età possono indurre cambiamenti epigenetici “fisici e metabolici”. Oltre ai geni, l’epigenetica fa sì che possano essere ereditate cattive abitudini e vizi, che possono manifestarsi nei figli e nelle generazioni successive.
Esistono alcune patologie in cui sono coinvolte modifiche epigenetiche: