Fegato bioartificiale: nuove alternative al trapianto
Il fegato è un organo vitale che svolge una vasta gamma di funzioni importanti all’interno del nostro corpo. Influenza e controlla quasi ogni aspetto del metabolismo e la maggior parte dei processi fisiologici di regolazione. In particolare, esso è implicato nel metabolismo dei farmaci, dei lipidi e dei carboidrati, nella detossificazione e nella sintesi di proteine. Le patologie che possono colpire quest’organo sono svariate e, nel caso di molte malattie epatiche terminali (come insifficienza epatica acuta o malattie metaboliche o congenite), il trapianto rappresenta l’unica soluzione valida. Nell’Unione Europea oltre 10000 persone sono in lista d’attesa per un trapianto di fegato e in media, un paziente, per riuscire ad ottenere un nuovo funzionante fegato, deve aspettare almeno un anno. Infatti, da un lato i fegati dei donatori idonei scarseggiano, dall’altro negli ultimi anni c’è stato un aumento delle malattie epatiche croniche. C’è, dunque, un disperato bisogno di trovare metodi innovativi e riproducibili per il trattamento dell’insufficienza epatica e uno di questi potrebbe essere il fegato bioartificiale.
Cos’è l’insufficienza epatica?
L’insufficienza epatica è una codizione caratterizzata dal deterioramento della funzione epatica in seguito ad una malattia cronica, che si sviluppa in un arco temporale molto lungo, oppure acuta, che invece accade improvvisamente nel giro di pochi giorni. Essa è associata ad elevati livelli nel siero di diverse sostanze endogene quali bilirubina, ammoniaca e citochine. Ciò comporta gravissime complicanze, talvolta anche mortali e compromette l’omeostasi di tutto l’organismo. Il primo approccio terapeutico per l’insufficienza epatica è basato sulla detossificazione del sangue, che può essere realizzata tramite l’utilizzo di apposite strumentazioni.
Device epatici
Ad oggi, tra i devices utilizzati per una terapia conservativa dell’organo o come bridge per un trapianto di fegato, vi è il MARS (“Molecular Adsorbents Recirculating System”). Si tratta di un dispositivo extracorporeo per la dialisi epatica: non può essere considerato un vero e proprio fegato “artificiale” in quanto assolve alla sola funzione detossificante. A differenza dell’emodialisi convenzionale, tale sistema è composto da due circuiti di dialisi: uno contenente albumina (dal 5% al 20%), che ha il compito di rimuovere le tossine dal sangue, e un altro di dialisi convenzionale che serve a purificare il dialisato. L’utilizzo dell’albumina, nel circuito di dialisi, consente di eliminare in maniera adeguata dal sangue i cataboliti come la bilirubina, gli acidi biliari e le citochine che ad essa si legano. Il dialisato, caricato con albumina, viene successivamente purificato da una colonna al carbonio attivo ed una colonna a scambio cationico.
Fegato Bioartificiale (BAL)
Esistono poi altre soluzioni, ancora a livello sperimentale, che mirano alla creazione di un vero e proprio fegato bioartificiale che possa andare a sostituire l’organo malfunzionante. Questi sistemi bioartificiali, Bioartificial liver (BAL), sono in grado di assolvere parzialmente alle funzioni epatiche, tra cui quelle di sintesi, di regolazione e detossificante. I BAL sono composti da un bioreattore, per mantenere un ambiente controllato per la crescita di organismi cellulari, e da una componente cellulare, costituita da epatociti funzionali. Nei sistemi BAL, i bioreattori servono come contenitore per permettere una crescita controllata degli epatociti incorporati. Il sistema consente il trasferimento di sostanze tra il sangue del paziente e gli epatociti incorporati attraverso fibre cave o membrane semi-permeabili. Tra le tipologie di bioreattori quelli che hanno avuto maggior successo sono quelli a fibre cave. Questi bioreattori vengono utilizzati come emodializzatori, cioè con lo scopo di rimuovere dal sangue una serie di molecole indesiderate o di scarto. Durante l’emodialisi, il sangue scorre nel lato lume (all’interno) delle fibre cave, mentre il dialisato scorre nello spazio extracapillare, corrispondente all’area esterna alle fibre cave. Al passaggio del sangue attraverso le fibre avviene uno scambio: diverse proteine e metaboliti vengono rilasciati dagli epatociti al sangue del paziente, mentre le sostanze tossiche vengono emesse dal sangue ed eliminate tramite un circuito di scarto.
Per quanto riguarda la componente cellulare utilizzata nei BAL, nei vari studi realizzati fino ad ora, sono state utilizzate diverse fonti: si è passati da cellule primarie e cellule immortalizzate a cellule porcine. Tuttavia, diversi studi hanno confermato il potenziale legato all’utilizzo di cellule staminali pluripotenti indotte (iPS) che possono essere differenziate in epatociti funzionali. Nel 2019, i ricercatori del Cincinnati Childrens Hospital Medical Center hanno costruito un’organoide di fegato, partendo da 11 linee di iPS. Si tratta di una versione semplificata e miniaturizzata del fegato al momento utilizzata per testare l’efficacia clinica dei farmaci ma anche per modelizzare diverse patologie del fegato. In un futuro, non così prossimo, si potrebbe pensare di utilizzare gli organoidi e la loro crescita e coltura in un sistema BAL per rimpiazzare o integrare le funzioni epatiche compromesse.
Articolo a cura di Gianluca Ciarleglio.