La fibrillazione atriale (FA) è una condizione cardiaca per la quale l’impulso elettrico, responsabile della contrazione del cuore, non si genera nel nodo senoatriale ma nel nodo atrio-ventricolare causando una contrazione irregolare degli atri.
Di conseguenza, il sangue non viene pompato in modo efficiente al resto del corpo e può capitare di sentirsi molto deboli oppure avvertire sensazioni cardiache fastidiose come un battito cardiaco accelerato o irregolare.
Di per sé, questa aritmia non è pericolosa ma, riduce la qualità della vita perché il soggetto si sente spesso stanco. Tuttavia, nel tempo la FA aumenta la mortalità cardiovascolare, la comparsa di cardiopatie ed eventi trombotici dovuti alla formazione di coaguli che, possono essere spinti nel sistema cardiovascolare fino al cervello, provocando ischemie o ictus cerebrale.
In base al tipo di fibrillazione atriale, le terapie prevedono cardioversione elettrica immediata, procedura in grado di interrompere l’aritmia con una sorta di “reset” del battito attraverso l’uso di piastre collegate ad un defibrillatore esterno oppure, nei casi di insuccesso, si parla di ablazione invasiva transcatetere che brucia il tessuto cardiaco responsabile dell’innesco elettrico.
Tuttavia, questa procedura risulta ottimale per pazienti con FA intermittente ma, per coloro che presentano FA persistente è necessario sottoporsi a interventi ripetuti, anche fino a 4-5 volte, ciò provoca la formazione di tessuto cicatriziale nel cuore che può portare a più accensioni irregolari.
Da qui, l’ingegnere Natalia Trayanova della Johns Hopkins, che per anni ha creato modelli virtuali che replicassero la contrazione cardiaca dei singoli pazienti, si è interrogata sulla possibilità di prevedere le nuove aree cicatriziali che potrebbero indurre nuovamente FA, riducendo il numero di interventi chirurgici necessari.
La nuova procedura individualizzata, denominata identificazione ottimale del bersaglio attraverso la modellizzazione dell’aritmogenesi (OPTIMA) ha lo scopo di individuare tutte le aree problematiche del cuore nel primo tentativo chirurgico, comprese quelle che causeranno un guasto elettrico in futuro.
Innanzitutto, bisogna effettuare la risonanza magnetica con contrasto del cuore che, permette di individuare eventuali cicatrici preesistenti sul tessuto cardiaco.
I dati raccolti vengono utilizzati per creare un modello virtuale del cuore che, successivamente, viene stimolato con impulsi elettrici e si studia come il cuore reagisce a questi stimoli.
Non conosciamo a priori, guardando l’immagine, cosa accadrà
dice Trayanova che, si limita a segnare le aree in cui uno stimolo provoca un battito cardiaco irregolare, che verranno rimosse mediante ablazione dal chirurgo.
Tuttavia, questo non basta per impedire il successivo ricovero del paziente, perciò il team di ricercatori simula nuovamente l’intervento chirurgico con la rimozione delle precedenti aree ma, con la formazione delle nuove cicatrici, chiamate lesioni al modello.
Nuovamente viene svolta la medesima procedura fino a quando non viene individuato il giusto approccio chirurgico, tale da garantire il successo dell’operazione senza successivi ricoveri.
Lo studio in analisi vede l’utilizzo della procedura OPTIMA su 10 pazienti affetti da fibrillazione atriale e, in seguito solo 1 soggetto si è dovuto sottoporre nuovamente a interventi chirurgici.
La Food and Drug Administration, ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, ha approvato un nuovo studio, che partirà a Novembre, su 160 pazienti che valuterà se la procedura OPTIMA è più accurata ed efficace delle convenzionali.
È probabile che l’approccio OPTIMA sia più costoso di quello convenzionale perché comporta la risonanza magnetica. Tuttavia, impedire a un paziente di tornare in ospedale per ulteriori procedure può comportare un risparmio complessivo sui costi
conclude Trayanova.