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Un metodo per valutare la fiducia dell’uomo nei sistemi intelligenti

Interazione uomo-macchina

Interazione uomo-macchina

La società odierna è caratterizzata da una sempre più frequente interazione tra uomini e macchine intelligenti. In un simile scenario, la fiducia che l’utente ripone nei sistemi con i quali si trova a collaborare è divenuta un fattore fondamentale per ottenere interazioni sinergiche ed efficaci. Consci di ciò, i ricercatori della Purdue University hanno realizzato un sistema in grado di valutare in tempo reale il grado di fiducia dell’uomo nel sistema con il quale sta interagendo.

Si tratta di un modello di classificazione che sfrutta due tecniche per ottenere dati psicofisiologici utili per valutare la fiducia: l’ elettroencefalografia (EEG) e la risposta galvanica della pelle (GSR).

Migliorare l’interazione uomo-macchina

Un nuovo modello per testare la fiducia degli uomini nei sistemi intelligenti
Ph: Purdue University photo/Marshall Farthing

L’utilizzo di sistemi intelligenti nella vita quotidiana è in aumento e riguarda diversi contesti ed attività. Basti pensare a piloti di aerei e lavoratori industriali che interagiscono abitualmente con sistemi automatizzati.

Tuttavia, un’efficace collaborazione tra uomo e macchina è subordinata alla capacità di realizzare sistemi che trasmettano un senso di sicurezza ed affidabilità agli utenti.

Alla luce di ciò, i ricercatori della Purdue University hanno sviluppato un metodo che permette alle macchine di valutare in tempo reale il grado di fiducia dell’uomo nei propri confronti. Questo consente al sistema di rispondere di conseguenza, modificando l’approccio adottato nel caso in cui venga identificato uno stato di diffidenza.

Un set di caratteristiche legato alla fiducia

Il metodo utilizzato dai ricercatori si focalizza su dati ottenuti mediante l’ elettroencefalografia e la risposta galvanica della pelle. La prima registra l’attività corticale del cervello, mentre il secondo controlla le variazioni delle caratteristiche elettriche della pelle.

Grazie alle misurazioni effettuate è stato dunque possibile ottenere un “set di caratteristiche” psicofisiologiche correlate alla fiducia.

I modelli ottenuti sono chiamati “algoritmi di classificazione”.

L’idea è di utilizzare questi modelli per classificare quando è probabile che qualcuno si senta fiducioso o diffidente.

Ha dichiarato Tahira Reid, alla guida dello studio insieme a Neera Jain.

Un modello generale del sensore di fiducia

Per convalidare un primo modello è stato richiesto a 581 soggetti di eseguire una simulazione di guida durante la quale un computer segnalava l’eventuale presenza di ostacoli stradali. Durante la prova, potevano presentarsi due scenari: nel primo il sistema identificava correttamente l’ostacolo il 100% delle volte, mentre nel secondo il sistema identificava erroneamente la presenza dell’ostacolo con una probabilità del 50%.

I partecipanti avevano dunque il compito di valutare ripetutamente la segnalazione ricevuta, scegliendo tra due possibilità: “fiducia” o “sfiducia”.

Il test ha consentito di ottenere un “modello generale del sensore di fiducia”.

Tale modello utilizzava lo stesso insieme di caratteristiche psicofisiologiche per tutti i partecipanti e aveva un’accuratezza del 71.22%.

Un approccio personalizzato

In un secondo momento, i ricercatori hanno sviluppato un modello considerando fattori come età, genere e cultura dei partecipanti. Questa variazione ha permesso di giungere ad un’accuratezza media del 78,55% a discapito dei tempi richiesti per il training.

I dettagli della ricerca sono rinvenibili in un articolo pubblicato su ACM Transactions on Interactive Intelligent Systems (TiiS).