Funghi allucinogeni per alleviare i disturbi mentali: la psilocibina e i suoi misteriosi effetti sul nostro cervello
Esplorando il potenziale terapeutico della psilocibina: come i funghi allucinogeni stanno cambiando la comprensione dei trattamenti per la salute mentale.
I funghi allucinogeni, noti anche come funghi psichedelici, contengono sostanze chimiche che possono alterare la percezione, l’umore e i processi cognitivi. Il principio attivo più comune in questi funghi è la psilocibina, che, una volta metabolizzata dal corpo, si trasforma in psilocina, responsabile degli effetti psichedelici.
Questi funghi sono stati utilizzati per millenni in contesti rituali e spirituali in diverse culture. Recentemente, c’è stato un rinnovato interesse scientifico per i loro potenziali benefici terapeutici, soprattutto nel trattamento di condizioni come depressione, ansia e disturbi post-traumatici.
Gli effetti dei funghi allucinogeni possono variare notevolmente a seconda della dose, dell’ambiente e dello stato mentale dell’utente.
Tuttavia, l’uso di funghi allucinogeni comporta anche dei rischi, come esperienze traumatiche o “bad trips”, che possono causare ansia e paranoia.
Lo studio sulla psilocibina
Numerosi studi hanno suggerito che la psilocibina, il principio attivo dei funghi allucinogeni, potrebbe rivelarsi utile nel trattamento di diverse condizioni di salute mentale. Tuttavia, la comprensione dei suoi effetti sui “network cerebrali funzionali”, ovvero le vie di comunicazione che collegano diverse aree del cervello, è ancora incompleta. Per approfondire questo aspetto, i ricercatori della Washington University School of Medicine a St. Louis hanno effettuato scansioni cerebrali su sette partecipanti sani prima, durante e dopo l’assunzione di psilocibina, pubblicando recentemente i risultati su Nature.
Durante lo studio, ogni partecipante è stato sottoposto a una media di 18 scansioni. I risultati, ottenuti tramite fMRI, hanno mostrato che le connessioni all’interno dei network cerebrali consolidati erano disturbate, mentre la comunicazione tra diversi network aumentava. In altre parole, l’assunzione di psilocibina ha reso il processamento delle informazioni nel cervello meno prevedibile, portando a una maggiore disordinarietà. Inoltre, è emerso che nei giorni e nelle settimane successive all’esperienza psichedelica si osservavano cambiamenti duraturi nelle connessioni tra l’ippocampo e la rete di default, suggerendo potenziali effetti neuroplastici e terapeutici della psilocibina, in linea con l’interesse rinnovato per la terapia assistita da psichedelici nel trattamento di ansia, depressione e dipendenze.
Limiti e domande aperte sulla ricerca
Nonostante i risultati promettenti, lo studio presenta alcune limitazioni significative. Essendo stato condotto su volontari sani, non è chiaro se i risultati siano applicabili a pazienti che potrebbero beneficiare della psicoterapia assistita da psilocibina. Inoltre, la maggior parte dei risultati si basa su osservazioni ripetute di soli sei partecipanti, poiché uno di essi ha abbandonato lo studio. Questo solleva preoccupazioni riguardo al “bias di selezione”, rendendo difficile generalizzare le conclusioni a una popolazione più ampia.
Anche se è stato utilizzato un placebo attivo, non ci sono informazioni su come i partecipanti e i ricercatori potessero distinguere tra psilocibina e placebo. Questo problema è comune negli studi psichedelici e potrebbe influenzare i risultati. Restano domande importanti, come il significato di un cervello più disordinato e la relazione tra le modifiche osservate nell’attività cerebrale e il benessere delle persone. Per affrontare queste questioni, è fondamentale integrare nuovi metodi che possano unire i dati “oggettivi” del cervello con l’esperienza “soggettiva” umana, affinché si possano ottenere conclusioni più chiare e utili per la comunità scientifica e per i pazienti in cerca di aiuto.