La natura immunosoppressiva del microambiente tumorale nel glioblastoma ostacola lo sviluppo di immunoterapie efficaci. Per superare questo ostacolo, un team di ricercatori dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano ha progettato cellule staminali ematopoietiche che rilasciano l’interferone-α o l’interleuchina-12. Il trattamento ha inibito la crescita del tumore e migliorato la sopravvivenza. Inoltre, è stato più efficace e sicuro della somministrazione sistemica di citochine, suggerendo che la precisione spaziale e temporale sono fattori chiave nel determinare gli effetti terapeutici dell’approccio.
Si tratta del tumore cerebrale più comune caratterizzato da un microambiente tumorale che rappresenta una barriera per lo sviluppo di immunoterapie efficaci. Ad oggi, questa patologia rimane una malattia fatale con un beneficio limitato delle terapie standard, vale a dire:
Il fallimento delle immunoterapie è attribuito al sito in cui crescono questi tumori, alla limitata bio-distribuzione delle terapie dalla circolazione sistemica e ad un microambiente tumorale fortemente immunosoppressivo. La somministrazione mirata di citochine immunoattivanti può superare questi ostacoli; infatti, supera gravi eventi avversi legati alla loro somministrazione sistemica e migliora la sicurezza e l’efficacia del trattamento.
La strategia mira a evitare i tessuti fuori bersaglio e a raggiungere un’espressione efficace solo nel sito della malattia; questo limitando il rischio di eventi avversi, effetti fuori bersaglio e desensibilizzazione dall’esposizione a dosaggio eccessivo. I potenziali candidati sono l’interferone-α (IFN-α) e l’interleuchina-12 (IL-12) i cui benefici dipendono dalle attività pleiotropiche sui componenti tumorali, stromali e immunitari del microambiente tumorale.
Per somministrare IFN-α al sito tumorale si approfitta di una popolazione di monociti/macrofagi associati al tumore. Le cellule staminali ematopoietiche sono tradotte con un vettore lentivirale che esprime la citochina sotto la regolazione positiva del potenziatore Tie2 e la regolazione negativa dei microRNA specifici, questo per riconoscere le sequenze bersaglio complementari nel vettore. Il trapianto di queste cellule ingegnerizzate induce il rilascio specifico di IFN-α favorendo l’attivazione immunitaria e le risposte terapeutiche in diversi modelli tumorali sperimentali.
Durante la sperimentazione in vivo si è osservata la clearance tumorale solo in una piccola frazione di topi analizzati. La variazione stocastica nel repertorio dei singoli recettori delle cellule T, l’entità del recupero delle cellule T dopo il condizionamento o la perturbazione indotta dal trattamento possono determinare se l’emergere dell’immunità adattiva porta all’eradicazione del tumore o meno.
La terapia genica migliora la sopravvivenza nei topi immunocompromessi, gli effetti antitumorali derivano anche dalla riprogrammazione delle cellule mieloidi con l’inibizione associata all’angiogenesi. L’up-regulation è diffusa in tutto l’infiltrato immunitario del tumore ed è associata a funzionalità di attivazione avanzate, come: la riduzione dell’esaurimento delle cellule T e la commutazione della classe delle immunoglobuline delle cellule B.
Complessivamente, i dati riportati forniscono un potenziale paradigma per lo sviluppo della terapia delle citochine di prossima generazione e per affrontare l’obiettivo a lungo ricercato di catturare il loro pieno potere terapeutico per combattere malattie letali come il glioblastoma multiforme prevenendo gli effetti collaterali dell’esposizione fuori bersaglio.