ImpACT: sensore MRI per monitorare l’attività elettromagnetica del cervello
Come si è giunti alla realizzazione di ImpACT
Si tratta di trasduttori basati su bobina attiva impiantabile (ImpACT), progettati per la comunicazione wireless di eventi ottici ed elettrici nel tessuto profondo senza la necessità di alimentazione a bordo ovvero dispositivi impiantabili in scala millimetrica o submillimetrica che funzionano come varianti miniaturizzate di un circuito standard (una bobina a radiofrequenza) che stimola e rileva i segnali MRI da un soggetto.
Per far funzionare il sensore, esso viene inizialmente sintonizzato sulla stessa frequenza delle onde radio emesse dagli atomi di idrogeno. La sintonizzazione dei sensori cambia quando rileva un segnale elettromagnetico dal tessuto e il sensore non corrisponde più alla frequenza degli atomi di idrogeno. Quando ciò accade, una macchina MRI esterna che esegue la scansione del sensore produce un’immagine più debole.
I ricercatori hanno dimostrato che i sensori possono raccogliere segnali elettrici simili a quelli prodotti da potenziali d’azione (gli impulsi elettrici attivati da singoli neuroni), o potenziali di campo locali (la somma delle correnti elettriche prodotte da un gruppo di neuroni).
Abbiamo dimostrato che questi dispositivi sono sensibili ai potenziali di scala biologica, dell’ordine di millivolt, che sono paragonabili a quello che genera il tessuto biologico, specialmente nel cervello.
I ricercatori hanno eseguito test aggiuntivi nei ratti per studiare se i sensori potevano rilevare segnali nel tessuto cerebrale vivente. Per quegli esperimenti, hanno progettato i sensori per rilevare la luce emessa dalle cellule ingegnerizzate per esprimere la proteina luciferasi.
Normalmente, la posizione esatta della luciferasi non può essere determinata quando è in profondità nel cervello o in altri tessuti, quindi il nuovo sensore offre un modo per espandere l’utilità della luciferasi e più precisamente individuare le cellule che emettono luce, dicono i ricercatori. La luciferasi è comunemente ingegnerizzata nelle cellule insieme ad un altro gene di interesse, consentendo ai ricercatori di determinare se i geni sono stati incorporati con successo misurando la luce prodotta.
Vantaggi e prospettive future
Uno dei principali vantaggi di questo sensore è che non è necessario trasportare alcun tipo di alimentazione, poiché i segnali radio emessi dallo scanner MRI esterno sono sufficienti per alimentare il sensore.
Aviad Hai, un postdottorato al MIT e autore principale dello studio, che si unirà alla facoltà dell’Università del Wisconsin a Madison a gennaio, prevede di miniaturizzare ulteriormente i sensori in modo che ne possano essere impiantati un numero maggiore, consentendo l’imaging di campi elettrici o di luce su un’area cerebrale più ampia. In questo studio, i ricercatori hanno eseguito una modellazione che ha dimostrato che un sensore da 250 micron (pochi decimi di millimetro) dovrebbe essere in grado di rilevare l’attività elettrica nell’ordine di 100 millivolt, simile alla quantità di corrente in un potenziale di azione neurale.
Il laboratorio di Jasanoff è interessato all’utilizzo di questo tipo di sensore per rilevare i segnali neurali nel cervello e immagina che possa essere utilizzato anche per monitorare i fenomeni elettromagnetici in altre parti del corpo, comprese le contrazioni muscolari o l’attività cardiaca.