ImpACT: sensore MRI per monitorare l’attività elettromagnetica del cervello

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Gli ingegneri del MIT hanno recentemente sviluppato una nuova tecnica per rilevare l’attività elettrica e i segnali ottici nel cervello usando un sensore mini-invasivo per l’imaging a risonanza magnetica (MRI). Partendo dai limiti della maggior parte dei metodi in uso, tra l’altro invasivi, per monitorare fenomeni elettrici nel cervello e dal principio di risonanza magnetica, utilizzata per misurare i cambiamenti nel flusso sanguigno che rappresentano indirettamente l’attività cerebrale, il team del MIT ha pensato di realizzare ImpACT: un nuovo tipo di sensore di risonanza magnetica per la rilevazione di processi biofisici cerebrali . Si tratta di un dispositivo che può essere impiantato nel cervello per consentire agli scienziati di monitorare l’attività elettrica, rilevando le minime correnti elettriche derivanti dalle comunicazioni interne del cervello, e la luce emessa da proteine ​​luminescenti o, comunque, i segnali ottici che possono essere prodotti da una varietà di molecole sviluppate da chimici e bioingegneri.
La ricerca, condotta dai ricercatori del MIT e finanziata dal National Institutes of Health, appare nel numero del 22 ottobre della rivista Nature, nella sezione Biomedical Engineering.
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Come si è giunti alla realizzazione di ImpACT

Il laboratorio di Alan Jasanoff, professore al MIT di ingegneria biologica, cervello e scienze cognitive, scienza nucleare e ingegneria, membro associato del McGovern Institute for Brain Research del MIT e autore senior della ricerca pubblicata in Nature, aveva sviluppato già in precedenza particolari sensori MRI in grado di rilevare il calcio e neurotrasmettitori come la serotonina e la dopamina. Ora ha voluto espandere l’ approccio alla rilevazione di fenomeni biofisici come elettricità e luce. In che modo?
Quando si parla di analisi dell’attività elettrica cerebrale si pensa immediatamente all’elettroencefalogramma (EEG), un modo non invasivo per misurare l’attività elettrica nel cervello, ma che purtroppo non può individuare l’origine dell’attività. Attualmente, il modo più accurato per monitorare l’attività elettrica nel cervello consisterebbe nell’inserimento di un elettrodo, che è molto invasivo e può causare danni ai tessuti. Al fine di risolvere questo problema i ricercatori del MIT hanno cercato di ideare un metodo mini-invasivo per lo studio dei fenomeni elettrici nel cervello, realizzando un dispositivo costituito da circuiti risonanti accoppiati induttivamente che cambiano le loro proprietà in risposta a segnali elettrici o fotonici, modulando così il segnale di risonanza magnetica locale senza la necessità di alimentazione a bordo o di connettività cablata.
Ottimizzazione e imaging delle prestazioni di un prototipo Impact.
PH: nature.com

Si tratta di trasduttori basati su bobina attiva impiantabile (ImpACT), progettati per la comunicazione wireless di eventi ottici ed elettrici nel tessuto profondo senza la necessità di alimentazione a bordo ovvero dispositivi impiantabili in scala millimetrica o submillimetrica che funzionano come varianti miniaturizzate di un circuito standard (una bobina a radiofrequenza) che stimola e rileva i segnali MRI da un soggetto.

Per creare un sensore in grado di rilevare campi elettromagnetici con precisione spaziale, i ricercatori hanno capito che potevano utilizzare un dispositivo elettronico, in particolare una minuscola antenna radio.
La risonanza magnetica funziona rilevando le onde radio emesse dai nuclei degli atomi di idrogeno in acqua. Questi segnali sono solitamente rilevati da una grande antenna radio all’interno di uno scanner MRI. Partendo da questo principio, il team del MIT ha ridotto l’antenna radio di pochi millimetri in modo che potesse essere impiantata direttamente nel cervello e ricevere le onde radio generate dall’acqua nel tessuto cerebrale.

Per far funzionare il sensore, esso viene inizialmente sintonizzato sulla stessa frequenza delle onde radio emesse dagli atomi di idrogeno. La sintonizzazione dei sensori cambia quando rileva un segnale elettromagnetico dal tessuto e il sensore non corrisponde più alla frequenza degli atomi di idrogeno. Quando ciò accade, una macchina MRI esterna che esegue la scansione del sensore produce un’immagine più debole.

Impact come sonda di imaging per la risonanza magnetica funzionale. PH:nature.com

I ricercatori hanno dimostrato che i sensori possono raccogliere segnali elettrici simili a quelli prodotti da potenziali d’azione (gli impulsi elettrici attivati ​​da singoli neuroni), o potenziali di campo locali (la somma delle correnti elettriche prodotte da un gruppo di neuroni).

 Abbiamo dimostrato che questi dispositivi sono sensibili ai potenziali di scala biologica, dell’ordine di millivolt, che sono paragonabili a quello che genera il tessuto biologico, specialmente nel cervello.

PH: Alan P. Jasanoff, Professor of Biological Engineering, Brain & Cognitive Sciences, Nuclear Science & Engineering PH:be.mit.edu

 

 

I ricercatori hanno eseguito test aggiuntivi nei ratti per studiare se i sensori potevano rilevare segnali nel tessuto cerebrale vivente. Per quegli esperimenti, hanno progettato i sensori per rilevare la luce emessa dalle cellule ingegnerizzate per esprimere la proteina luciferasi.

Normalmente, la posizione esatta della luciferasi non può essere determinata quando è in profondità nel cervello o in altri tessuti, quindi il nuovo sensore offre un modo per espandere l’utilità della luciferasi e più precisamente individuare le cellule che emettono luce, dicono i ricercatori. La luciferasi è comunemente ingegnerizzata nelle cellule insieme ad un altro gene di interesse, consentendo ai ricercatori di determinare se i geni sono stati incorporati con successo misurando la luce prodotta.

Rilevazione mediata da ImpACT della bioluminescenza in vitro e in vivo.
PH:nature.com

Vantaggi e prospettive future

Uno dei principali vantaggi di questo sensore è che non è necessario trasportare alcun tipo di alimentazione, poiché i segnali radio emessi dallo scanner MRI esterno sono sufficienti per alimentare il sensore.

Aviad Hai, un postdottorato al MIT e autore principale dello studio, che si unirà alla facoltà dell’Università del Wisconsin a Madison a gennaio, prevede di miniaturizzare ulteriormente i sensori in modo che ne possano essere impiantati un numero maggiore, consentendo l’imaging di campi elettrici o di luce su un’area cerebrale più ampia. In questo studio, i ricercatori hanno eseguito una modellazione che ha dimostrato che un sensore da 250 micron (pochi decimi di millimetro) dovrebbe essere in grado di rilevare l’attività elettrica nell’ordine di 100 millivolt, simile alla quantità di corrente in un potenziale di azione neurale.

Il laboratorio di Jasanoff è interessato all’utilizzo di questo tipo di sensore per rilevare i segnali neurali nel cervello e immagina che possa essere utilizzato anche per monitorare i fenomeni elettromagnetici in altre parti del corpo, comprese le contrazioni muscolari o l’attività cardiaca.

Published by
Cristiana Rizzuto