In pochi millimetri un impianto per stimolare i nervi in profondità
La stimolazione elettrica nervosa ha già mostrato la sua efficacia, a livello terapeutico, per il trattamento di varie patologie, dalle lesioni spinali, all’epilessia, fino al morbo di Parkinson. Parliamo del campo dell’electroceutical (ELECTROnic pharmaCEUTICAL), che si appresta a raggiungere un altro importare traguardo. Con “electroceuticals” si fa riferimento a quei dispositivi che sostituiscono la terapia farmacologica stimolando elettricamente nervi o tessuti, un esempio su tutti è il classico pacemaker.
La sfida degli ingegneri della Stanford University è quella di ampliare il numero di applicazioni di questi trattamenti attraverso un dispositivo che possa stimolare in profondità i nervi periferici e possa essere impiantato in maniera minimamente invasiva.
Uno stimolatore programmabile e versatile
Il dispositivo, in soli 6,5 millimetri di lunghezza, comprende: un ricevitore piezoelettrico che converte gli ultrasuoni ricevuti dall’esterno del corpo in elettricità, un condensatore per immagazzinare l’elettricità così prodotta, due elettrodi di stimolazione, un LED e un chip per il controllo e la programmazione. Il fatto di essere programmabile dall’esterno, attraverso i dati contenuti nel segnale ad ultrasuoni, rende lo stimolatore straordinariamente versatile. Possono essere regolati ed adattati i vari parametri, tra cui l’ampiezza dell’impulso e la frequenza della stimolazione elettrica, così che possa interfacciarsi meglio con i nervi periferici.
Il vantaggio principale di questa tecnologia è proprio quello di riuscire ad inviare energia e dati, attraverso gli ultrasuoni, fino ad una profondità di 10,5 centimetri all’interno del corpo. Comunicare con dispositivi interni all’organismo è sempre una questione difficile da risolvere, ancora di più se il dispositivo è molto piccolo. Viste le sue dimensioni, il team della Stanford ha scelto gli ultrasuoni per lo scopo, piuttosto che i segnali radio utilizzati in altri impianti; la loro piccola lunghezza d’onda, infatti, corrisponde alla dimensione millimetrica dell’impianto e possono penetrare nel corpo senza danneggiare i tessuti attraversati.
Le ridotte dimensioni dello stimolatore, inoltre, permetterebbero un impianto minimamente invasivo. In questo modo sarebbe possibile ampliare il numero di condizioni trattabili, come l’alleviamento dell’artrite reumatoide o il ripristino del controllo della vescica, e portare ad una maggiore diffusione di questi trattamenti.
Dopo aver dimostrato la funzionalità del dispositivo, il prossimo passo è il test sugli animali, dove verrà anche testata la funzione del LED integrato, ovvero quella di procedere con esperimenti di optogenetica, ovvero la stimolazione luminosa per innescare l’azione dei neuroni vicini geneticamente modificati.