Infarto cardiaco e terapie rigenerative: nuove prospettive
Le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morte nel mondo con circa 17 milioni di decessi l’anno. In Italia, più di 230 000 persone perdono la vita a causa di ischemia, infarto cardiaco, malattie del cuore e cerebrovascolari.
Il documento “Prevenzione Italia 2021” inerente la prevenzione cardiovascolare ha evidenziato un incremento dei fattori di rischio già prima della pandemia, fattori poi incrementati negli ultimi anni a causa della riduzione dei controlli ed esami. Pensate che nel periodo del primo lockdown è stata registrata una riduzione di quasi il 50% nelle ospedalizzazioni per infarto del miocardio, con conseguente aumento della mortalità causata da questa patologia.
È evidente come queste patologie rappresentino ancora una grande sfida: la prevenzione primaria, gli esami di controllo e uno stile di vita sano sono sicuramente strumenti essenziali per vincere questa lotta. Accanto a ciò, la medicina e l’ingegneria sono in grado di fornire armi sempre più innovative. In questo articolo ci concentreremo su una particolare malattia cardiovascolare: l’infarto cardiaco.
Composizione del tessuto cardiaco
Prima di parlare dell’infarto cardiaco, vogliamo sintetizzare la struttura del cuore per comprenderne al meglio le caratteristiche e il funzionamento. Il tessuto cardiaco è un tessuto attivo la cui contrazione risulta essenziale per il buon funzionamento dell’organo stesso. Gran parte del volume cardiaco è costituito da cardiociti, ovvero cellule responsabili della generazione e trasmissione dello stimolo contrattile che regola la funzione cardiaca.
Infarto cardiaco: cosa è e cosa comporta?
Torniamo all’infarto cardiaco: cosa è? Come indicato sul sito di Humanitas, l’infarto è “la morte o necrosi del tessuto cardiaco che non riceve un adeguato apporto di sangue e ossigeno della circolazione arteriosa ad esso dedicato”. In caso di infarto con esito non fatale, il corpo mira a riparare la parte lesa mediante un processo di cicatrizzazione che porta alla formazione di tessuto cicatriziale.
Il tessuto cicatriziale che il corpo umano forma in risposta all’infarto miocardico è più rigido del tessuto cardiaco originario e non presenta cardiociti, ma fibroblasti. Questo processo di cicatrizzazione va quindi ad esaurire la capacità contrattile del tessuto cardiaco.
Infarto cardiaco: perché avviene?
I fattori di rischio si distinguono in fattori modificabili e non modificabili. All’interno del primo gruppo, vi sono l’età e la famigliarità. Tra i fattori su cui è invece possibile lavorare vi sono lo stile di vita e l’alimentazione. Vi sono poi patologie, quali ipertensione arteriosa e diabete che possono incidere negativamente sulla genesi di patologia cardiovascolari.
Cosa succede dopo l’infarto cardiaco: la medicina e la ricerca
A valle dell’episodio di infarto, la prevenzione secondaria risulta importantissima. Per prevenzione secondaria si intende la prevenzione rivolta a persone che hanno già avuto una malattia cardiovascolare, per i quali una patologia cardiovascolare potrebbe avere un effetto ancora più dannoso. Ad oggi la medicina suggerisce una terapia che deve essere associata ad uno stile di vita corretto.
La ricerca comunque non si ferma: accanto a queste soluzioni vi sono progetti di ricerca che sfruttano le potenzialità delle terapie rigenerative. Le terapie rigenerative utilizzano tecnologie avanzate basate sull’utilizzo di biomateriali e mirano alla ricostruzione di organi danneggiati. Tra questi progetti vogliano indicare BIORECAR, progetto italiano coordinato dalla Professoressa Valeria Chiono e sviluppato all’interno del dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale del Politecnico di Torino.
BIORECAR: un progetto ambizioso progetto di ricerca
Il progetto BIORECAR presenta un approccio innovativo per la riprogrammazione del tessuto cardiaco infartuato in tessuto cardiaco funzionale, utilizzando biomateriali biomimetici e nano medicina. Il progetto prevede il design di particelle polimeriche innovative, in grado di riprogrammare le cellule presenti nel tessuto cicatriziale cambiandone l’espressione genica e trasformandole in cardiomiociti, ovvero cellule capaci di contrarsi.
Le nanoparticelle vengono somministrate direttamente nel tessuto cicatriziale mediante un idrogel in grado di incrementarne la capacità di riprogrammazione. Sembra incredibile vero? Questa idea innovativa e all’avanguardia verrà testata in vitro, su tessuto cardiaco umano e successivamente su un modello in vivo, con la speranza di ottenere risultati futuri promettenti per il trattamento dell’infarto miocardico nell’uomo.
Le altre ricerche nel mondo
Un articolo pubblicato nel 2022 ha riassunto gli ultimi sviluppi della terapia rigenerativa focalizzata al ripristino della funzionalità contrattile cardiaca. I biomateriali polimerici mostrano un grande potenziale nella riparazione e rigenerazione cardiaca, in quanto possono agire come matrici extracellulari iniettabili nel sito infartuato.
Le matrici extracellulari sono rappresentate da idrogel che vengono arricchiti con nanoparticelle funzionali con caratteristiche elettrice, meccaniche e topografiche, in grado di regolare la funzione contrattile dei cardiomiociti. Tra i nanomateriali che si possono considerare vi sono: nano tubi di carbonio, nanoparticelle di oro, polimeri elettroattivi che, a contatto con la matrice di idrogel, consentono il ripristino della conduttività contrattile tipica del tessuto cardiaco.
Un’altra proposta consiste nell’utilizzo di cerotti cardiaci (patch cardiaci): tali cerotti sono costituti da biomateriali e molecole bioattive in grado di ripristinare la funzionalità contrattile del tessuto. Test sperimentali effettuati su modelli in vitro hanno dimostrato come il tessuto cicatriziale sia in grado di contrarsi in risposta all’aggiunta di materiali arricchiti con particelle funzionali.
Sfide da affrontare
La ricerca sta fornendo utili presupposti per future e innovative soluzioni in grado di alleviare le conseguenze dovute all’infarto miocardico. Tuttavia, tante sono ancora le domande aperte.
La biocompatibilità e la biodegradazione nel lungo termine dei nanomateriali utilizzati risulta ancora oggetto di studio: tali ricerche sono infatti molto recenti e la scienza necessita di studi multicentrici, studi multidisciplinari e di tempo per costruire basi solide cui affidarsi.
Una biodegradazione, raggiunta mediante modifiche chimiche del nanomateriale, potrebbe portare all’eliminazione del componente aggiuntivo una volta svolta la sua funzione di regolazione del fenotipo. Una corretta biodegradazione potrebbe, quindi, eliminare la risposta immunitaria dovuta all’impianto e migliorare la risposta del corpo umano.
Applicazioni future
Queste conoscenze di terapie rigenerativa aprono incredibili scenari sul mondo del bioprinting. I nanomateriali sopra citati, infatti, potrebbero permettere la realizzazione di tessuti miocardici vascolarizzati contrattili mediante la tecnologia del bioprinting.
In conclusione, possiamo dire che tante sono le domande, ma allo stesso tempo tanti sono gli strumenti e i dati disponibili al fine di organizzare la risposta migliore per il trattamento dell’infarto miocardico.
A cura di Chiara Bregoli.