Vi abbiamo già parlato delle interfacce neurali, le cosiddette Brain Computer Interface (BCI) che stanno rivoluzionando la vita di molti pazienti. Il principio di base è concettualmente semplice, pur sembrando quasi fantascienza: dei piccoli sensori posti nel cervello ne rilevano i pensieri e li trasformando in segnali comprensibili a un computer. Quest’ultimo, quindi, può compiere una serie di azioni: muovere braccia robotiche o comandare strumenti, scrivere, parlare.
Sono molti i gruppi di ricerca al lavoro in questo campo e i risultati più brillanti sembrano essere, ad ora, quelli della Blackrock Neurotech. Grazie al suo “Utah Array”, infatti, l’azienda americana ha ottenuto numerosi successi ed è stata la prima ad avere l’autorizzazione alla sperimentazione del proprio dispositivo su esseri umani. Tuttavia il loro Utah Array presentava ancora un importante limite: la sua rigidezza. Questa causerebbe una serie di problematiche, ad esempio irritazioni e un’imperfetta adesione alla superficie cerebrale. Un gruppo di ricerca dell’università di San Diego ha sviluppato una nuova interfaccia neurale flessibile in grado di “leggere il pensiero” che potrebbe risolvere questi problemi e diventare la soluzione definitiva del settore.
La nuova interfaccia sviluppata dal gruppo di ricerca ha la caratteristica di essere flessibile e modellabile. La rilevazione dei segnali avviene tramite microaghi che penetrano nella corteccia cerebrale e che risultano 10 volte più sottili dei capelli. L’aspetto vincente del dispositivo è proprio dato dalla sua flessibilià. Questa caratteristica consente infatti un perfetto adattamento alla superficie della corteccia cerebrale, oltre che una riduzione dell’irritazione causata dal contatto del materiale con il tessuto.
I primi test eseguiti su roditori hanno dimostrato la possibilità di ottenere un controllo fine e raffinato paragonabile a quello del già affermato Utah Array. La nuova interfaccia flessibile, però, supera i limiti dettati da rigidezza e assenza di flessibilità, permettendo di avere un contatto più stretto con il cervello. Inoltre la particolare conformazione della nuova BCI permette di ottenere superfici di controllo più estese, cosa che consente di registrare ancora più informazioni, aumentando le capacità del dispositivo. In particolari nei primi test su ratti il dispositivo testato aveva 1024 microaghi, ovvero un numero 10 volte superiore al gold standard. Anche la superficie di controllo è 10 volte più estesa rispetto a quella delle attuali tecnologie.
Un ultimo vantaggioso aspetto è dato dalla trasparenza del nuovo dispositivo, importante per condurre ricerca in modelli animali. Grazie a questo, ad esempio, il team ha potuto dimostrare la possibilità di avere in simultanea la registrazione di segnali dai microaghi e la fotostimolazione optogenetica.
Flessibilità, estensione della superficie e modellabilità della nuova interfaccia sono state ottenute grazie all’approccio di doppia litografia. Partendo da uno stampo in silicone rigido il processo consente di costruire circuiti microscopici e dispositivi. Da una parte si pone un film flessibile, dentro il quale è inserito un doppio strato di titanio e tracce d’oro. Queste ultime sono posizionate in modo da allinearsi con i microaghi che vengono inseriti dall’altra parte. Lo strato di silicone che fa da guida viene quindi tolto, ad eccezione che per le piccole colonne che fungono da microaghi. Il pattern dell’interfaccia può essere ottenuto grazie a semplici tecniche di microfabbricazione che consentono la realizzazione di dispositivi diversi, creati ad hoc, senza il bisogno di corposo lavoro manuale.
Grazie alla maggiore estensione di copertura ottenibile grazie a questa nuova interfaccia i ricercatori mirano a creare dei raffinati sistemi a circuito chiuso. L’idea alla base è quella di non limitarsi a “leggere” e tradurre il pensiero in azioni, ma anche di poter rimandare dei segnali alla corteccia. Ad esempio tramite questo sistema la persona potrebbe non solo riuscire a controllare il movimento di un braccio meccanico, ma anche avere un feedback sensoriale. In particolare potrebbe essere possibile rilevare informazioni circa durezza, peso, superficie di un oggetto e tradurre questi aspetti in stimoli elettrici trasportati fino ai microaghi. Questi darebbero un feedback al paziente, che potrebbe quindi regolare la presa di conseguenza, in pratica come avviene naturalmente.
La Precision Neuroscience ha brevettato il dispositivo. I risultati ottenuti grazie allo studio pubblicato sull’Advanced Functional Materials sono solo i primi necessari a un ancora lungo cammino per l’approvazione alla vendita. Tuttavia anche solo questo piccolo passo apre nuove speranze in questo settore in fermento che potrebbe presto diventare una comune applicazione e regalare un futuro diverso a numerosi pazienti che, ad ora, non dispongono di altre possibilità per ritornare a una nuova normalità.