Covid-19

Ivermectina vs Covid-19: è davvero efficace contro l’infezione?

All’inizio della pandemia non vi erano abbastanza studi clinici per evidenziare dei trattamenti efficaci contro il Covid-19. Ai pazienti ospedalizzati venivano somministrati farmaci come remdesivir, lopinavir/ritonavir, idrossiclorochina, oppure terapie con interferone, plasma convalescente e anticorpi monoclonali. Queste soluzioni sfortunatamente non hanno ridotto la mortalità in maniera statisticamente significativa. Negli ultimi mesi un altro farmaco ha preso piede, l’Ivermectina, e sembrava potesse essere un valido trattamento.

Poche erano quindi le principali terapie efficaci contro il Covid-19 tra cui i corticosteroidi. Essi venivano utilizzati nei trattamenti della malattia da moderata a grave ma la situazione continuava a peggiorare, aumentando il numero di ospedalizzati, ricoveri in terapia intensiva e conseguenti decessi in tutto il mondo. Recenti studi dimostrerebbero invece che un farmaco antiparassitario, con proprietà antivirali e antinfiammatorie apportasse diversi benefici riducendo anche il tasso di mortalità: l’ivermectina.

Nonostante questi studi, però, l’FDA e l’EMA non hanno approvato l’uso di questo farmaco perché nonostante alcuni studi di laboratorio abbiano mostrato che l’ivermectica potesse bloccare la replicazione del visrus SARS, essa doveva essere somministrata in concentrazioni molto più elevate rispetto a quelle attualmente autorizzate.

Gli studi clinici hanno prodotto risultati diversificati: alcuni non hanno dimostrato alcun beneficio, mentre altri hanno indicato un beneficio potenziale. La maggior parte degli studi esaminati dall’EMA era di piccole dimensioni e presentava ulteriori limitazioni, tra cui regimi posologici differenti e ricorso a medicinali concomitanti. L’EMA ha pertanto concluso che le evidenze attualmente disponibili non sono sufficienti a supportare l’uso di ivermectina per COVID-19 al di fuori degli studi clinici.

AIFA

Che cos’è l’ivermectina?

Il farmaco di Ivermectina. Credits: Novikov Aleksey/Shutterstock

Tutto ha inizio nel 1975, grazie alla scoperta di un ricercatore giapponese, Satoshi Omura, il quale isolò un batterio Streptomyces. Insieme a William Campbell scoprì che i composti attivi, “avermectine“, di quella coltura batterica potevano curare i topi infettati da un nematode (Heligmosomoides polygyrus), tipico dell’intestino dei roditori selvatici.

L’ivermectina è dunque un derivato dell’avermectina. Nasce come farmaco veterinario ma viene poi utilizzato per la prima volta sull’uomo nel 1988 per il trattamento dell’oncocercosi (nota anche come cecità fluviale o oncocerchiasi).

Successivamente viene adottata anche per il trattamento di altre infezioni tropicali da nematodi come la filariosi linfatica e non solo: circa 10 anni fa si è dimostrato che l’ivermectina ha anche proprietà antivirali contro virus a RNA, compreso il coronavirus SARS-CoV-2.

Un farmaco così rivoluzionario che l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) decise di includerlo nel “Listino dei medicinali essenziali (EML), l’insieme di farmaci più sicuri ed efficaci del sistema sanitario.

Meccanismo di azione del farmaco sul SARS-CoV-2

Nei modelli sperimentali di alcuni ricercatori si è visto che l’ivermectina dopo 48 ore dalla sua assunzione, inibisce la replicazione del virus legandosi alla RNA polimerasi del SARS-CoV-2 e interferendo con alcune delle sue proteine strutturali. Studi di modellazione molecolare hanno dimostrato anche che l’ivermectina ha un’alta affinità con il recettore della proteina Spike S1 e questo potrebbe limitarne il legame con ACE-2 impedendo l’ingresso del virus nella cellula. Ecco perché il farmaco era stato considerato, in un primo momento, come un ottimo alleato nella lotta contro il Covid-19.

Ivermectina e prevenzione

Altri studi controllati, effettuati su personale sanitario e familiari di pazienti Covid-19, avrebbero provato che l’assunzione periodica di ivermectina diminuisce la trasmissione del virus anche tra i soggetti umani.

H. Carvallo e colleghi, in uno studio osservazionale prospettico durato 28 giorni, hanno esaminato 299 soggetti di cui 133 trattati con ivermectina e carragenina 5 volte al giorno. Alla fine del periodo di follow-up nessuno di questi era risultato positivo al Covid-19, mentre nel gruppo di controllo se ne contava l’11,2%.

Lo stesso studio è stato poi esteso a un campione più grande di quasi 1200 operatori sanitari in un periodo di 3 mesi, al termine del quale il 58% del gruppo di controllo aveva contratto il virus al contrario di chi aveva assunto regolarmente ivermectina.

A confermare ulteriormente l’efficacia dell’ivermectina, sempre in un primo momento, è stato un articolo pubblicato sull’International Journal of Antimicrobial agent, il quale dimostra che i casi di Covid-19 sono molto più bassi nei paesi con profilassi attiva

Credits: American Journal of Therapeutics28(3):e299-e318, maggio/giugno 2021.

Trattamento con questo farmaco

Nei pazienti lievemente malati è stato riscontrato che una combinazione di ivermectina-doxiciclina (tetraciclina) o ivermectina-azitromicina (antibiotico macrolide) avrebbe effetti antivirali e antinfiammatori: diminuirebbe la carica virale e migliorerebbe la condizione clinica in pochi giorni. Nei pazienti gravemente malati, invece, le analisi dei trattamenti con ivermectina avrebbero portato a una notevole riduzione del tasso di mortalità e di degenza ospedaliera.

Ivermectina e il post-COVID-19

Come ormai sappiamo, una volta guariti dall’infezione acuta alcuni individui possono sviluppare dei sintomi da sindrome post-virale nota come“Long-COVID”. I più comuni sono affaticamento o stanchezza cronica, mancanza di respiro, difficoltà nella concentrazione e nella memoria, dolori articolari e toracici . 

Ancora non ci sono trattamenti specifici per il Long-COVID ma uno studio dell’Università Nazionale di San Marcos in Perù avrebbe riscontrato che dopo un trattamento di ivermectina per qualche settimana questi sintomi post-virali andavano scemando fino a scomparire.

Tuttavia l’efficacia dell’ivermectina in questa fase non è stata ancora rafforzata da altri studi, ma verrebbe già utilizzata in alcuni protocolli di trattamento della sindrome post-COVID-19 indotti dalla FLCCC Alliance (Front Line COVID-19 Critical Care Alliance).

La raccomandazione dell’FDA e dell’EMA

La FDA raccomanda di non utilizzare l’ivermectina per il trattamento del Covid-19 in quanto spesso viene utilizzata sotto forma di farmaco per animali. Questi sono spesso altamente concentrati perché vengono usati per animali di grossa taglia, come cavalli e mucche. Tali dosi elevate possono essere altamente tossiche negli esseri umani. 

Anche i livelli di ivermectina per usi approvati possono interagire con altri farmaci, come gli anticoagulanti. Assumere in modo autonomo questo farmaco può portare a overdose di ivermectina, che può causare nausea, vomito, diarrea, ipotensione (bassa pressione sanguigna), reazioni allergiche (prurito e orticaria), vertigini, atassia (problemi di equilibrio), convulsioni, coma e persino la morte. 

L’EMA, invece, si è espressa a marzo scorso:

L’EMA ha esaminato le ultime evidenze sull’uso di ivermectina per la prevenzione e il trattamento di COVID-19 e ha concluso che i dati disponibili non ne sostengono l’uso al di fuori di studi clinici ben progettati.

AIFA

A cura di Jasmine Dakota

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